Il panorama musicale contemporaneo, spesso improntato a una rassicurante omogeneità stilistica, accoglie con l’opera di Mormile, Miracoli, Catrame, un elemento di salutare e premeditata dissonanza. L’album si presenta non come un manifesto di coerenza, ma come un lucido catalogo delle incertezze e delle collisioni sonore che definiscono l’artista nel contesto della produzione attuale. L’architettura del disco, lungi dall’aderire a un genere prestabilito, è una celebrazione della disomogeneità, un atto di coraggio stilistico che rinuncia alla facile decifrabilità per abbracciare la complessità dell’esperienza interiore.
La traccia emblematica di questa dichiarazione d’intenti è forse “FRIED CHICKEN”, un brano che, nel suo apparente nichilismo autoironico, incapsula il tema centrale dell’album: l’accettazione dell’imperfezione come forma d’arte autentica. Mormile utilizza la sua piattaforma non per offrire soluzioni, ma per esporre la lotta intestina, il “fare a pugni con l’altra parte di me”, trasformando l’ansia e il disagio esistenziale in una narrazione ritmica e affascinante.
Musicalmente, Miracoli, Catrame è un’esplorazione eclettica che spazia con disinvoltura attraverso decenni e generi. L’omaggio al funk psichedelico e al soul degli anni ’70 è palpabile in tracce come “UN PO’ RETRÒ”, dove la linea di basso e i groove sinuosi invitano all’ascolto corporeo, quasi involontario. Questa radice organica si scontra e si fonde, talvolta in modo spigoloso, con le incursioni nell’elettronica sperimentale di brani come “LTMTV”, una digressione strumentale che attesta la fascinazione di Mormile per le trame sonore più astratte e la decostruzione del soundscape. L’album non teme lo schiaccio tra l’intimità acustica – rintracciabile nelle confidenze notturne di “COMICHE ANNATE COSMICHE” – e la potenza pulsante dei synth.
Il punto di maggiore interesse critico risiede nella singolare capacità dell’autore di popolarizzare il conflitto interiore. L’album riesce a trascendere il cliché dell’autoanalisi malinconica trasformando il disagio psicologico in un motore di ritmo e fruibilità. Il caso più lampante è “MOQUETTE BLU”, dove un momento di paralisi emotiva viene sonorizzato con un beat incalzante e una melodia quasi innoica. Non si tratta di una negazione del dolore, ma di una sua ricontestualizzazione estetica: il riconoscimento del conflitto non sfocia nella lamentazione sterile, ma si traduce in un’energia che invita al movimento, suggerendo che la catarsi possa avvenire anche attraverso la danza. È la dimostrazione che l’inquietudine può possedere un groove “pazzesco”, rendendo l’esperienza emotiva complessa accessibile e condivisibile.
L’episodio forse più stratificato emotivamente è “MARÌ (poltrona in pelle verde)”. La composizione agisce come un tuffo nell’idillio momentaneo, il “rifugio” cercato in un ambiente altrimenti ostile. La figura di Marì si eleva oltre la mera entità relazionale per diventare l’archetipo della quiete necessaria a bilanciare la “minaccia esterna” della vita adulta, riflettendo la tipica dialettica tra caos e ordine, paura e sicurezza, che caratterizza l’attuale Zeitgeist.
La traccia che chiude il lavoro e gli dà il titolo, “MIRACOLI, CATRAME”, non offre una sintesi risolutiva, bensì una dichiarazione di coesistenza. L’ambizione utopica (i Miracoli) e la cruda realtà esistenziale (il Catrame) non si annullano, ma si trovano relegate in uno spazio di tensione perenne. Mormile non cerca la guarigione o la terapia attraverso la musica; cerca un’estetica che possa contenere la sua complessità.
In conclusione, Miracoli, Catrame si impone come un’opera sincera e formalmente spiazzante. L’artista rifiuta il minimalismo narrativo e sonoro, offrendo invece un’esperienza ricca, a tratti caotica, ma sempre profondamente onesta. È un album che chiede all’ascoltatore di accettare la sua schietta disomogeneità come la cifra stilistica più autentica del suo autore.


