Gli Osaka Flu, band indie-punk di Arezzo, tornano con Odio gli indifferenti, un singolo che unisce riflessione politica e cultura pop anni ’90. In questa intervista ci raccontano cosa significa oggi prendere posizione, come il loro immaginario adolescenziale continua a influenzare la loro musica e perché persino Mitch Buchannon di Baywatch potrebbe salire sul palco con loro.
Intervista
1. Avete immaginato di leggere Gramsci a 17 anni: quale sarebbe stata la vostra “rivoluzione personale” a quell’età?
Ci piace pensare che avremmo contribuito in modo più consapevole al tessuto sociale di quel periodo. A quell’età, eravamo un po’ accecati dal mito americano, l’impegno politico ci appariva superfluo e noioso. Nonostante una certa riluttanza, abbiamo partecipato a manifestazioni, all’occupazione del liceo, ma sempre con una prospettiva goliardica. Guardandoci indietro, eravamo frivoli, c’erano ragazzi della nostra stessa età con una consapevolezza ben diversa.
Ma va bene così: oggi abbiamo cambiato marcia e siamo contenti del nostro percorso. A quarant’anni suoniamo ancora e cerchiamo di parteggiare ogni volta che possiamo.
2. Nel brano convivono Gramsci e i Clash, MTV e il rigore di Baggio: che cosa resta oggi di quell’adolescenza anni ’90 nel vostro modo di fare musica?
Resta tutto, è il nostro DNA. Le nostre influenze musicali sono profondamente radicate in quegli anni. Guardavamo MTV e spesso c’era musica “frivola”, ma il mainstream aveva un’energia sonora e una ricerca che ci ha formati. Pensiamo a band come Green Day, Oasis, Blur, per citare solo il “canone” di MTV dell’epoca.
In Odio gli indifferenti mischiamo elementi storici e sociali degli anni ’90 alla cultura pop nel tentativo di rappresentare fedelmente il groviglio dei nostri ricordi: Gramsci, i Clash, la Guerra del Golfo e Baggio sono un unico continuum emotivo. Tutto questo caos ha influenzato e modellato il nostro modo di fare musica: immediato, frivolo, pop, punk, ma con qualcosa da dire.
3. “Odio gli indifferenti” è un invito a prendere posizione: qual è la causa o il tema su cui oggi sentite più urgente schierarvi come band?
Sicuramente la causa palestinese è quella che sentiamo più urgente e imperativa.
Ma più in generale abbiamo capito, negli anni, che ogni forma di colonialismo, di sfruttamento delle persone e delle risorse, di capitalismo sfrenato (che sta distruggendo il pianeta e le vite umane), impatta significativamente le nostre esistenze quotidiane.
Il nostro impegno sociale ha quindi una radice pratica, concreta. Questa spinta ci ha portato ad approfondire le nostre conoscenze attraverso la lettura e la partecipazione a progetti sociali sul territorio.
Scrivere canzoni ci ha messo spesso a confronto con i miti e gli assiomi tipici del patrimonio occidentale e nel processo creativo è nata anche la necessità di spaziare verso culture diverse e modi diversi di intendere la socialità e la giustizia. In futuro intendiamo adottare uno sguardo più globale e meno occidentalizzato verso i temi scottanti della nostra epoca.
Crediamo che la musica possa avere una voce, e la nostra è questa.
4. Avete citato giochi arcade e Baywatch: se doveste scegliere un totem pop degli anni ’90 da riportare in un vostro concerto, quale sarebbe?
Senza dubbio, Mitch Buchannon da Baywatch. Ci ha sempre fatto ridere la sua indole di uomo perfetto e irreprensibile nella serie, contrapposta alla sua reputazione di uomo turbolento fuori dallo schermo.
Per noi rappresenta lo iato tra realtà e finzione, una distorsione che è l’emblema degli anni ’90 stessi: colori sgargianti, melodie accattivanti, modelle sorridenti e perfette erano (e sono) la facciata di un sistema malato e al collasso.
Vedere Mitch apparire sul palco, magari in costume, sarebbe il perfetto mix di ironia e critica pop che ci rappresenta.