In occasione dell’uscita del loro nuovo album “Altitudine”, i novagorica ci raccontano un lavoro che esplora emozioni forti e sfumature sonore, mescolando post-punk, pop e altre influenze per dare vita a un progetto potente e sincero. Dopo il successo del loro debutto “Preghiera Violenta”, il gruppo ha intrapreso un nuovo percorso creativo che ha portato alla realizzazione di undici brani, un viaggio musicale che prende forma dal sudore e dalle grida dei loro live.
Nel corso dell’intervista, abbiamo avuto il piacere di scoprire i dettagli che hanno plasmato “Altitudine”, dal processo di scrittura dei testi alla registrazione in presa diretta, che ha reso il suono dell’album intenso e coeso. I temi trattati, dalla depressione alla speranza, ci accompagnano fino all’ultimo brano omonimo, un inno alla redenzione e all’accettazione della nostra fragilità.
Qual è stato il punto di partenza per la creazione di “Altitudine”? Come avete sviluppato il concept di questo album?
Altitudine nasce da un’esigenza. Il tour di presentazione del nostro primo album, Preghiera violenta, ci ha portato a suonare in molti club di tutta Italia e, di conseguenza, a capire meglio chi siamo e che cosa vogliamo portare dal vivo. Ciò che è stato chiaro a tutti è che avevamo bisogno di brani che “menassero” di più, qualcosa di ruvido e potente che ci desse la carica per trasformare i nostri live in esperienze di grida e sudore. Così nasce Altitudine, undici canzoni per urlare insieme a chi ci segue.
“Altitudine” sembra essere un viaggio attraverso diverse emozioni e sfumature sonore. Qual è il processo di composizione che avete seguito per rendere questo viaggio così intenso e sincero?
Alcune delle canzoni sono frutto di provini portati da Giulio, altre invece sono nate direttamente in sala prove, durante alcune sessioni di improvvisazioni nell’autunno del 2023. Il lavoro è stato più corale rispetto all’album precedente, anche per quanto riguarda i testi. Gran parte sono nati da Giulio, ma alcuni brani sono frutto di Simone e Elisa Oppedisano, il che sicuramente ha donato un respiro diverso all’album.
Avete menzionato l’uso di diversi stili musicali, dal post-punk al pop, nel vostro nuovo album. Come avete bilanciato queste influenze diverse per creare una narrazione sonora coesa?
Siamo quello che sappiamo, diceva Kurt Cobain. In un certo senso è così, questo album è il frutto di persone che vengono da mondi simili, ma non uguali. Ognuno ha portato nelle canzoni il suo gusto e la sua fame. Alcuni brani hanno movenze quasi hardcore (Peggiore), altri hanno melodie hip hop (Le formiche) mentre altri sonorità più cantautori (Altitudine). Nonostante questo il fatto di aver registrato interamente l’album in presa diretta durante una chiusa di una settimana all’OSB Studio ha fatto sì che l’album suoni come un’insieme coeso di canzoni e non una compilation di singoli.
I testi di “Altitudine” affrontano temi profondi come la depressione e la dipendenza, ma anche la speranza e la scoperta. Come avete lavorato sulla scrittura dei testi per esplorare questi temi in modo autentico?
I testi delle canzoni sono animali strani, non c’è un lavoro specifico, arrivano quando vogliono e nella forma che desiderano. C’è poco che si può fare. Solo accoglierli in modo onesto e lasciarli vivere.
“Altitudine” si conclude con il brano omonimo, che sembra rappresentare un momento di elevazione e conclusione. Qual è il messaggio principale che volete che il vostro pubblico riceva alla fine di questo viaggio musicale?
Che per quanto cupo possa sembrare questo cammino, c’è sempre una speranza. C’è sempre la possibilità della gioia e perché no, della redenzione. Bisogna accettare il valore della tristezza, della nostra delicatezza, della fragilità. Essere imperfetti è il più grande miracolo della nostra umanità.