Un progetto che ha i natali proprio in questi giorni, proprio in questo tempo distopico che vede nuove assurdità elette a normalità e consuetudine radicata tanto da passare inosservate. Elias Goddi, musicista e cantautore toscano, si fa da parte e alla pubblica piazza fa emergere l’immaginario di Nodo Prusik, un progetto (one man band) che oggi pubblica un disco di inediti dal titolo “Transeunte” uscito per La Chute Dischi, il collettivo fiorentino dentro cui spicca il nome di Massimiliano Larocca e con lui tanti altri artisti che sono linfa vitale e cuore pulsante di una scena nuova. Un disco velenoso nelle liriche, rude e greve nei suoni che chiede all’elettronica un’estetica severa, cavernosa, scusa… non la manda a dire Nodo Prusik, non fa sconti a nessuno e riversa la sua ira alle illogiche routine della vita omologata che siamo costretti a subite (e in parte ormai ne siamo assuefatti). Un disco politico oserei dire…
Nasce un progetto che non vuole avere identità specifica. Che rapporto hai dunque con la personalità che c’è dietro a Nodo Prusik? Conta la canzone e non chi l’ha canzone l’ha fatta?
Ho cercato di creare un’entità artistica che fosse il più possibile dotata di una personalità ben precisa seppur senza tutta questa “immagine” e quindi affidandomi esclusivamente alla musica e, a margine, a una direzione estetica molto minimale ma ben definita. Nodo Prusik è un progetto, una One man band. È il mio avatar.
Per rispondere all’altra domanda: l’artista per me non conta nulla, è un pupazzo. L’opera è la cosa più importante e l’unica cosa che rimarrà, forse. L’artista è un tramite e prima o poi morirà, con buona pace degli artisti che vogliono essere tutelati e rispettati.
Batto su questo tema perché mi affascina, visto il tempo di estrema esposizione dentro cui tutti viviamo, drogati di apparenza e di visibilità. Da dove nasce questa tua direzione contraria?
Ma forse dal fatto che io per primo come persona, quindi al di fuori di quello che faccio, mi sono fatto due selfie in vita mia: uno l’ho pubblicato ed eliminato e l’altro è ancora nell’hard disk. Quindi per me è molto naturale non apparire e non farmi vedere. E poi come hai ben detto tu, viviamo in un’epoca drogata di apparenza e visibilità e io davvero non capisco cosa ci sia da mostrare. A parte tutto, a me piace che dietro l’opera si nasconda un’ombra: mi affascinano i vari Salinger, Pynchon, Malick, Sclavi, Ditko, Daft Punk, il David Sylvian degli ultimi anni e l’ultimo Battisti. Lì c’è veramente un’opera di un certo livello e non il sorriso dell’artistucolo che saluta e ringrazia i suoi fan.
I suoni di questo disco, scuri, distopici… come hai “manovrato” l’elettronica per arrivare al risultato che ascoltiamo? Cosa ricercavi?
In realtà mi piace utilizzarla in modo molto rozzo nella prima fase di lavoro, quella di scrittura. Una volta trovato il suono mi ci affeziono e lavoro su quello, l’importante è l’atmosfera. Poi nella seconda fase, quella con Federico in produzione, si passa alla rifinitura e quindi a fare “uscire” il suono. Ecco, forse l’unica cosa alla quale tengo parecchio è avvicinarmi il meno possibile a quello che sento in giro. Lo so, sembra presuntuoso ed è praticamente impossibile, ma comunque ci provo. Alla fine ho cercato e cerco il suono ideale per rappresentare certe sensazioni.
“Il fallimento” – Visual Video
https://youtu.be/ZUNlVMSnVcE?si=OA9D75tau98dLNrg
Sei molto molto duro con la società di oggi. Siamo nel pieno del fallimento umano e sociale… personalmente come lo vivi questo fallimento e come ne esci o come lo risolvi?
Se volessi essere davvero sincero ti risponderei che siamo completamente fottuti, e ce la siamo cercata. Ma non posso perché ho un figlio e sta cosa, sarà banale, ma per fortuna ti condiziona.
Il fatto è che il fallimento umano e sociale l’umanità l’ha vissuto più e più volte. È caduta più e più volte e più e più volte si è rialzata. Quindi di base non c’è una soluzione. “I giovani di una volta” o i “giovani di domani” sono condannati a ripetere sempre gli stessi errori e a ripararli continuamente.
L’essere sghembo, rimescolare la forma canzone “pop” a cui siamo abituati senza particolari stravolgimenti… è esso stesso un manifesto di libertà e di personalità contro l’omologazione?
Questo non lo so, ti potrei dire una menzogna e dichiarare che è un modo per cercare di fare il bastian contrario rispetto a quello che si sente ma la realtà è che sta roba a me viene spontanea. Il problema più che altro è che non capisco come mai la canzone pop, o almeno la poca Italiana che mi capita di ascoltare, in questi anni sia diventata una roba terrificante, omologata e imbalsamata in quei due o tre schemi consolidati e soprattutto patinatissimi. Ma chi l’ha detto che il pop deve essere quella caramella vergognosa che ci viene propinata?
Sei sicuro che dentro la società moderna, in tempo di cadute tiriamo fuori energie di rinascite? Tanto per parafrasare il concetto del nodo Prusik…
No, purtroppo non ne sono sicuro. Gli eventi degli ultimi anni ci hanno rivelato per quello che in realtà siamo: piccoli, impauriti, vanitosi e parecchio parecchio stupidi.
Però, giusto per smentirmi, tempo fa lessi da qualche parte che Longanesi una volta disse che vide uomini che erano stati tronfi e sicuri di loro in tempo di pace piangere come agnellini in tempo di guerra e, al contrario, miti impiegati modello che si rivelarono pronti ad affrontare ogni situazione. Vai a capire cosa si nasconde dentro l’essere umano…
“Transeunte” – ascoltalo on Spotify
https://open.spotify.com/intl-it/album/5uYnCm6kpMrkjuv9h6ePyq?si=iE1bp20uTEGVUsk_CPb4uA


