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Con il loro nuovo brano, gli NFF costruiscono un mondo fatto di castelli che crollano, roghi che liberano e danze meccaniche che somigliano fin troppo alla nostra quotidianità. Un immaginario medievale che diventa specchio del presente, un linguaggio simbolico ma lucidissimo con cui la band racconta ciò che ci circonda: l’apatia generale, la disattenzione verso l’altro, la necessità di riscoprire un senso umano e collettivo.
In questa intervista gli NFF aprono la porta del loro mondo, spiegando come nascono le immagini del brano, quali roghi hanno attraversato e perché parlare di speranza oggi è un gesto tanto necessario quanto coraggioso.


INTERVISTA NFF

Nel brano i castelli crollano e i roghi diventano quasi liberatori: qual è stato il vostro “rogo personale”, il momento in cui avete capito che qualcosa doveva cambiare?

Ci siamo accorti che qualcosa doveva cambiare quando abbiamo preso coscienza del sopore generale in cui stavamo vivendo. Così abbiamo deciso di provare a fungere da “sveglia dei sensi”, sia per noi stessi che per gli altri.


La metafora medievale è fortissima: nasce prima la storia o la musica? Cosa vi ha portati a raccontare il presente con un immaginario così “antico”?

La storia si ripete e la storia dell’essere umano è un eterno ciclo. Ci siamo svegliati in un mondo che, se non fosse per il progresso tecnologico, sarebbe praticamente uguale al basso-medioevo.
Nel caso del nostro brano c’era già un concetto di partenza: la musica lo ha plasmato e il testo lo ha definito.


La danza dei servi è descritta come un movimento meccanico: qual è, secondo voi, la danza meccanica più evidente oggi nella nostra società?

Sfortunatamente oggi viene automatico ignorare il prossimo, schiavi degli schermi luminosi che stringiamo tra le mani mentre il mondo cambia e il tempo inevitabilmente corre.


Nonostante la critica sociale, il pezzo lascia intravedere speranza. Per voi cosa significa “narrarla senza rinunciarci”? È un atto politico? O più umano?

Secondo Pericle, nell’antica Grecia, la politica era “l’arte di vivere assieme”.
Se avessimo ancora questo concetto, il nostro brano sarebbe pienamente politico. Lasciamo che sia ognuno, ascoltandolo, a trarre le proprie conclusioni.

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