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“MOFO” affronta il tema della mascolinità tossica e del rifiuto delle emozioni. Qual è stato il momento in cui hai sentito il bisogno di trasformare questa tematica in musica? C’è stato un evento o un incontro che ti ha portato a questa consapevolezza?

Tempo fa ho letto un articolo che mi ha colpito molto: seppur statisticamente le donne siano maggiormente colpite da malattie mentali, il maggior numero di suicidi avviene tra gli uomini. Questo accade perché le donne hanno il coraggio di chiedere aiuto, mentre noi uomini ripieghiamo sul craving o su altre forme di evitamento, pur di non mostrare le nostre debolezze. In quel momento ho capito che la società parla troppo poco di fragilità maschile e che era mio dovere farlo, nel modo migliore che conosco.

Nel brano parli di un mondo maschile che spesso reprime le proprie fragilità. Quali sono le emozioni che senti più difficili da esprimere, e come la musica ti aiuta a dare loro una voce?

La tristezza è sicuramente l’emozione più difficile da accettare: molti uomini la convertono in rabbia e questa si concretizza in svariati atti di violenza, con epiloghi spesso tragici. La musica e la terapia mi hanno aiutato ad accettarla e ad esprimerla senza vergogna. Sogno un mondo consapevole del fatto che la sensibilità è una risorsa preziosa e non una debolezza.

Utilizzi una fusione di italiano e dialetto napoletano per esprimere un messaggio universale. Cosa significa per te parlare di argomenti come questo nella tua lingua e nella tua cultura? Pensi che aggiunga una particolare intensità al brano?

Ho sempre sentito Napoli come una parte imprescindibile del mio background artistico e soprattutto umano. La parola “Chiagneme” riesce, nella sua semplicità ad esprimere il concetto, ben piu ampio e complesso che è al centro del brano, ed in questo la lingua napoletana è una maestra. “Chiagneme” Is the new “Cry me a River” ☺

L’immagine della ‘bussola’ nella tua descrizione di MOFO è molto potente. Se questo brano fosse un messaggio a chi si sente perso, quale consiglio darebbe loro per riappropriarsi delle proprie emozioni? Il mio consiglio è: “Parlate”. Parlate senza vergogna, senza la paura di sentirvi giudicati e incompresi. Oltre i confini dei nostri pregiudizi c’è un oceano di compassione e di umanità: riconoscersi fragili ci rende liberi e comprensivi verso noi stessi e verso gli altri, riportandoci al contatto con la nostra emotività. In quel momento sapremo di non essere soli.

One Comment

  • Ennio ha detto:

    Oh, un’artista contemporaneo capace di articolare questo genere di risposte su un argomento così delicato, mi commuove. Mi tocca ascoltare le sue cose…

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