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La musica è fatta di frammenti, di storie, di emozioni che si incastrano come tessere di un mosaico. Ed è proprio “Mosaici” il titolo del nuovo singolo di Minimal, un artista che ha saputo intrecciare il cantautorato pop con l’energia del rap, creando un linguaggio personale e autentico. In questa intervista, Minimal ci racconta il significato del brano, il suo percorso musicale e la forza della musica come forma di resistenza emotiva.


Il mosaico di cui parli nel brano è un’immagine potente: tanti tasselli che compongono un disegno più grande. Se dovessi descrivere il tuo percorso musicale come un mosaico, quali sarebbero i pezzi più importanti che l’hanno reso unico?

Bellissima domanda…

Per me, ogni pezzo ha una grande importanza, perché anche da una piccola briciola o da un frammento di vita può nascere una canzone. Ma se dovessi scegliere gli elementi fondamentali del mio percorso artistico, direi:

  • Mia madre che, quando avevo 5 anni, mi chiese: “Giulio, ti piacerebbe andare a scuola di musica?”.
  • Lo studio della musica classica, che mi ha dato una solida base.
  • Gli anni dedicati a uno strumento: nel mio caso, il clarinetto.
  • L’appartenenza a diverse realtà musicali, dalle bande ai gruppi locali, fino alla mia contrada.
  • Il momento in cui mi sono ritrovato casualmente davanti a un microfono durante le prove della band del liceo: da allora, non mi sono più staccato.
  • L’incontro con il mio produttore, Diego Ruco, che ha creduto in me prima ancora che fossi pienamente consapevole del mio stile e delle mie melodie.
  • La scoperta di un metodo di scrittura personale, che unisce spontaneità e profondità letteraria.

“Non scompariremo mai” è un messaggio forte, quasi un manifesto di resistenza emotiva. Da dove nasce questa certezza? C’è stato un momento in cui hai avuto paura di dissolverti, come artista o come persona?

Il nostro Io, con tutti gli affetti familiari e non, rimarrà sempre un tassello fondamentale di questa terra.

Io credo che non serva per forza il ricordo di noi per rimanere immortali: la nostra visione soggettiva è stata portata su questo mondo e nessuno potrà mai cancellarla.

Sì, ho avuto paura di dissolvermi. Sono stato lontano dallo studio che condivido con il mio produttore per due settimane, dicendo di voler smettere. Ma quando sono rientrato e sono partite le nostre canzoni, mi sono sentito meglio, mi sono sentito bambino di nuovo. Quindi mi sono chiesto: perché trascurare la propria felicità?


Nel tuo sound convivono cantautorato pop e rap, due mondi apparentemente distanti. In che modo questi due linguaggi ti permettono di raccontarti meglio rispetto a uno stile più tradizionale?

Perché sono i generi con cui sono cresciuto. Mio fratello ed io cantavamo a squarciagola gli 883, mentre mia madre faceva sì con la testa ascoltando la discografia del mio artista preferito in assoluto: Caparezza.


Hai fatto tanta gavetta tra festival, open mic e palchi indipendenti. Cosa hai imparato dall’incontro diretto con il pubblico e cosa credi che la dimensione live possa dare a un brano come “Mosaici”?

Questi palchi mi hanno regalato la tranquillità di poter portare le mie tele musicali ovunque. Ogni spettacolo lascia una sua cicatrice, una sua ferita da curare. Ormai sono dipendente da queste dosi di adrenalina, e le vado a ripescare ogni settimana tra open mic e contest.

“Mosaici” rappresenta una delle dediche più importanti della mia vita, quindi sono molto fiducioso: la sincerità paga sempre. Che sia la mia storia o quella di altri, l’importante è essere autentici.

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