Samu L è un artista genovese, con profonde radici nel conscious rap (modelli di riferimento Murubutu e Rancore), che ha appena pubblicato “Primordiale”, l’ep che dà il via effettivo alla sua carriera.
Pubblicato insieme al video di “Riga dritto”, l’ep porta con sé molto del vissuto di Samuel, che ha una storia sicuramente singolare alle spalle e che è riuscito a travasarla in brani pieni di energia e di vita. Ecco la nostra intervista.
Partiamo dal titolo: qual è il significato di “Primordiale” per te?
“Primordiale” è tante cose. Proprio nell’intro del disco parlo di questa “rabbia primordiale”, che è ciò che mi ha sempre spinto verso i miei obiettivi. Mia moglie mi definisce ‘pentola a pressione’ perché tendo spesso ad arrabbiarmi, anche se con il tempo ho imparato a contenere questo lato del mio carattere. Primordiale indica anche che tutto quello che è contenuto in questo disco è l’inizio di qualcosa, ci ho messo molte cose di me ma non tutto, avrò modo di mostrare tante altre parti di me.
Qual è stata l’ispirazione principale dietro la creazione dell’EP?
Inizialmente doveva essere un singolo, Resistiamo, ma lavorando con Giulio Gaietto si è delineata l’idea di un progetto più ampio, che lasciasse trasparire la voglia di lotta e riscatto dietro alla mia scrittura, più scrivevo e più si allargava il progetto. E più si allargava il progetto più scrivevo. La realtà è che ho imparato tante cose durante la realizzazione, ed è il motivo per cui penso che ascoltando le tracce in ordine si possano notare diversi cambiamenti in me, seppur con una linea comune. L’obiettivo è sempre stato quello di raccontarmi per raccontare le storie di tante altre persone.
Quali sono state le sfide più grandi che hai affrontato come artista trans?
Io penso che in quanto artista una persona trans affronti le stesse sfide di tutti gli altri artisti. Come persona trans le sfide invece sono tantissime, e la musica è il mio modo per esternarle e dare visibilità anche, ma non solo, alle lotte necessarie per vedermi riconosciuto come persona con gli stessi diritti e doveri degli altri. C’è ancora tanta strada da fare in Italia. In ambito musicale è pur vero che l’hiphop non è un ambiente particolarmente aperto e unire questi due mondi è sicuramente insolito.
In che modo il conscious rap ti permette di esprimere la tua identità?
Il rap è sempre stato, da che ho memoria, parte di me. E’ sempre stata una valvola di sfogo. Da ragazzino andavo in giro ascoltando beat e immaginando le parole, le scrivevo su fogli vaganti che puntualmente perdevo, ma hanno in qualche modo espresso ciò che ero in quel momento. Il conscious rap mi permette, a modo mio, di far conoscere certi temi alle persone e di sensibilizzarle, portando le parole, che sono sempre state per me stesso, dentro alla musica che è uno strumento di comunicazione universale. Per questo credo di dover cantare per gli altri ciò che scrivo per me.
Quanto è importante per te raccontare storie personali attraverso la tua musica?
Per me è la base perchè penso che la musica debba sempre essere vera e credibile. Non penso di essere diverso da molte altre persone e perciò cerco di esprimere le mie esperienze come qualcosa in cui altri possano riconoscere, non tanto il vissuto, quanto le emozioni provate. Credo che tante esperienze diverse possano essere accomunate dalle stesse sensazioni, e nessuno può comprendere un sentimento se non lo ha provato.
Quali artisti ti hanno ispirato di più nel tuo percorso musicale?
Da ragazzino ascoltavo Eminem a nastro e sicuramente ha avuto una certa influenza su di me, ma gli artisti che mi hanno spinto a credere di poter seguire questo percorso sono stati Murubutu e Rancore. Murubutu mi ha sempre impressionato per il linguaggio che utilizza, sempre imprevedibile, e per la malinconia che cela in ogni pezzo. Rancore ha uno storytelling da paura e credo che “ermetico” sia assolutamente l’aggettivo corretto per il suo stile.
Come descriveresti il tuo stile musicale e cosa lo distingue dagli altri rapper?
Non mi piace avere una casella in cui inserirmi, sicuramente mi avvicino al conscious rap per lo scopo della mia musica, ma non mi riconosco nella scena hiphop e credo di essere spinto più verso il cantautorato. Il rap è una forma sotto cui è celato molto di più e non vedo l’ora di farlo sentire. Sarei presuntuoso a definire ciò che mi distingue dagli altri, perciò lascio che sia chi mi ascolta a deciderlo.