C’è un punto esatto in cui la musica de LOSTATOBRADO sembra fermarsi e respirare: il presente. Ahimè, il loro nuovo album, è un lavoro che nasce da un’urgenza semplice e radicale — restare qui, ora, senza inseguire altrove. Un disco che mescola natura e caos urbano, ritualità e ironia, elettronica e radici concrete, dentro quello che il trio definisce con disarmante precisione “musica elettroacustica post-agricola”.
Li abbiamo intervistati per capire cosa si nasconde dietro questa poetica che osserva il mondo senza giudicarlo, lasciandolo semplicemente accadere.
Intervista a LOSTATOBRADO
1. Nel disco parlate del bisogno di tornare al presente: qual è stato il momento esatto in cui avete capito che “Ahimè” sarebbe stato un album sul qui e ora?
Guardando le onde da un’isola in mezzo al Tirreno in un pomeriggio freddo di gennaio. Non facevano niente, andavano soltanto avanti e indietro e ci sembravano molto più interessanti di questa mania collettiva di voler sempre essere altrove.
2. Definite il vostro suono “musica elettroacustica post-agricola”: quanto c’è di gioco e quanto di verità in questa definizione, e cosa rivela davvero del vostro modo di comporre?
È tutto vero, niente scherzi, molto gioco. Facciamo musica per questi nostri tempi che ai nostri occhi appaiono post-agricoli. Il nostro modo di comporre ne è solo una conseguenza.
3. Le otto tracce hanno una struttura circolare, quasi rituale: è un modo per rappresentare la ripetizione della vita o un tentativo di rompere il ciclo?
In qualche modo questi brani provano a dire che tutto ritorna, ma sempre un po’ cambiato, mai come prima. E che la vita nel suo ritornare più che circolare è tragicomica.
4. Nel vostro immaginario convivono natura, tecnologia e caos urbano: in quale di questi luoghi sentite che si nasconde la vostra identità più autentica?
Veniamo da luoghi di natura, amiamo la tecnologia e ci ritroviamo a vivere nel caos urbano. Probabilmente la nostra identità si adatta per cercare di rimanere autentica.


