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LEO è l’album di debutto di Leonardo Lamacchia, disponibile dal 20 giugno in distribuzione ADA Music Italy.

Un disco che segna la maturità del cantautore pugliese capace di fondere it-pop, musica elettronica e sfumature jazz. Leonardo Lamacchia riesce a raccontare, in otto brani, la complessità del presente e a catturare le emozioni più profonde con una sensibilità unica, rafforzata da una scrittura sincera e una produzione raffinata.

L’album si apre con la focus track “Che cosa resterà di questi anni 20“, un brano contemporaneo intriso di malinconia e dolcezza. Con synth e tastiere che richiamano il sound degli anni ’80 e atmosfere alla The Weeknd, il brano è un’istantanea del nostro tempo, segnato da guerre, incertezze e tensioni globali.  

 

Lo abbiamo intervistato!

 

  1. Quanto ha inciso il cambio di management sul tuo percorso e sulla nascita di LEO?

È stato un punto di svolta.
Cambiare management significa ridefinire il modo in cui ti muovi, ma anche il modo in cui vieni guardato. Ho avuto la fortuna di trovare persone che mi hanno dato fiducia, senza chiedermi di semplificarmi.
Questa libertà è stata fondamentale per fare un disco come “LEO”, che ha bisogno di ascolto, tempo e cura.

 

  1. Quanto è difficile, oggi, ritagliarsi uno spazio autentico nel mercato discografico?

Difficile, ma necessario.
Oggi un artista deve essere tutto: musicista, imprenditore, content creator, esperto di algoritmo. A volte è frustrante, perché rischi di perdere il contatto con la parte creativa. Ma sto cercando di trovare un equilibrio: usare i mezzi senza farmi usare, comunicare senza snaturarmi.

 

  1. Ti senti parte di una scena oppure in bilico tra mondi diversi?

Mi sento sempre in bilico.
Non mi identifico pienamente in una scena, né voglio farlo. Mi piace essere un ponte tra generi, tra ascolti, tra pubblici.
È una posizione scomoda, perché meno facilmente etichettabile, ma mi dà una grande libertà espressiva.

 

  1. Hai mai pensato che questo disco non sarebbe mai uscito?

Sì, più volte.
Il mercato discografico tende a scoraggiare i percorsi “lenti”. Se non sei virale, se non hai il trend giusto, spesso vieni messo da parte. Ma ho imparato ad avere pazienza. A credere nei miei tempi. E a costruire qualcosa che non sia solo un fuoco di paglia.

 

  1. Cosa hai imparato dalle difficoltà? Cosa è cambiato di più in te?

Ho imparato che la costanza conta più dell’ispirazione. Che resistere è già una forma d’arte.
Oggi lavoro con più consapevolezza, più disciplina, ma anche più leggerezza. Non pretendo più di essere perfetto, ma autentico. E questo, paradossalmente, mi ha reso più forte

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