Con Ritmo Lento, i Leatherette tornano con una visione più lucida e più vulnerabile del loro mondo sonoro. Un disco che nasce da una pausa necessaria, da un rallentamento che non significa immobilità, ma scelta: quella di guardarsi dentro, ridefinirsi e lasciarsi sorprendere dalla propria stessa complessità. Tra impeto e sospensione, istinto e riflessione, il gruppo bolognese continua a sfuggire alle categorie, abbracciando una libertà creativa che li porta a riscriversi da zero, senza etichette e senza rete. Un progetto in cui il caos diventa gesto naturale, e il silenzio un terreno nuovo da esplorare.
Intervista
“Ritmo Lento” nasce da un rallentamento: cosa avete scoperto di voi stessi nel momento in cui avete smesso di correre?
Smettere di correre non proprio, ma sicuramente ci siamo presi del tempo per confrontarci e capire cosa volevamo fare in modo un po’ più ragionato. È stato strano, anche faticoso, perché dopo anni passati a crogiolarsi nella fretta delle cose tornare a confrontarsi con quello che stai facendo e che vuoi fare come artista e come band ti fa rendere conto di come tutto sia complesso e niente scontato. Non ci sono copioni da seguire, ma al tempo stesso ci sono un sacco di compromessi da accettare. Alla fine però, per quanto sia cheesy, quello che prevale sempre è l’amicizia tra noi. Siamo stati spinti a conoscerci di nuovo ed è stato bello e stimolante.
Il disco è diviso tra impeto e sospensione: vi riconoscete più nella parte istintiva e adrenalinica o in quella spettrale e riflessiva?
Ci riconosciamo in entrambi gli aspetti, è quello il punto. Non ci siamo posti limiti da questo punto di vista. Non siamo mai stati dei punk totali ma abbiamo comunque bisogno di sfogarci in qualche modo. Fare casino è un’urgenza, un istinto, qualcosa che ci viene facile. Ma proprio per questo lasciare spazio al silenzio è un impegno, un desiderio e una fonte di soddisfazione per noi. Lo Yin e lo Yang.
Avete scelto di scrivere tutto da zero, seguendo solo l’istinto: quanto è stato liberatorio lasciar andare la zona di comfort e le vostre stesse etichette?
Noi abbiamo semplicemente fatto quello che ci è venuto spontaneo, senza troppa premeditazione. In generale quello che facciamo è possibilmente quello che amiamo fare e quando non è possibile è quello che riusciamo a fare. Per noi non ci sono mai state etichette e soprattutto non abbiamo mai sentito parlare di questo comfort, siamo naturalmente inclini alle contorsioni.
Se “Ritmo Lento” fosse un paesaggio, sarebbe una fuga notturna o un luogo dove fermarsi a respirare?
Sarebbe una fuga notturna verso un luogo dove fermarsi a respirare!


