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Il nuovo album di Giangilberto Monti, intitolato “Franco Califano, il Prévert di Trastevere”, rappresenta un compimento e un corollario al lavoro di ricerca e memoria dedicato alla figura del cantautore romano. In precedenza Monti aveva pubblicato insieme al giornalista Vito Vita il volume Franco Califano. Vita, successi, canzoni ed eccessi del “Prévert di Trastevere” (Gremese Editore), e aveva realizzato una selezione di brani trasmessi dalla Radio Svizzera Italiana all’interno di un radiodramma.

Ascolta il radiodramma
https://www.rsi.ch/rete-due/Franco-Califano-il-Pr%C3%A9vert-di-Trastevere–2169699.html

Nel disco, Monti sceglie dodici canzoni di Califano e le ripropone in rigoroso ordine cronologico, accompagnato da Marco Mistrangelo al basso, Alessio Pacifico alla batteria e Marco Brioschi alla tromba. Con “Franco Califano, il Prévert di Trastevere” si scopre come la figura di Califano, oltre a essere un interprete di brani popolari, divenga un’oggetto di teatro e di dimensione popolaresca. Di seguito, l’intervista integrale a Giangilberto Monti.


La figura di Califano è assai distante dal tuo percorso musicale… o sbaglio? Come la intercetti?
“Direi che è molto più che distante, però mi ha incuriosito la sua tormentata storia umana, che si riflette sul suo percorso artistico in modo anomalo e contraddittorio. Come usano dire i francesi, il Califfo è stato un uomo “numeroso” e per questo rimane per me affascinante scoprire tutte le altre facce della medaglia, contrapposte alla sua immagine pubblica.”


In che misura ha cambiato (se lo ha fatto) il tuo modo di scrivere o di pensare alla musica?
“Sulla scrittura direi in nulla. Abitualmente ho praticato storie molto differenti, ma questo non m’impedisce di riflettere su altre tematiche artistiche. In quanto alla musica, sono stati talmente tanti i collaboratori musicali del Califfo che c’era solo da imparare. Però, come altre volte ho già ribadito, Califano è stato soprattutto un autore di testi: la musica l’ha senz’altro affiancato, ma è la sua poetica che colpisce maggiormente. Il resto lo fa la sua vocalità roca e imperfetta, in certi brani quasi da bluesman.”


Il suono del trio che ti segue viene da tutti applaudito per il rispetto che ha contribuito a dare al suono e alla forma di Califano. Che scelte vi siete imposti e che cosa avete evitato?
“Diciamo che c’era un trio di base – Marco Mistrangelo (basso), Mell Morcone (pianoforte) e Alessio Pacifico (batteria) – a cui ho aggiunto la tromba di Marco Brioschi, a controcanto. A tutti gli effetti era un quartetto jazz, guidato dal pianista Mell Morcone, che in corso d’opera ho costretto ad accettare delle scelte arrangiative che lui non sempre approvava. Non mi ritengo un musicista, però mi interessa l’atmosfera che si crea a sostegno dell’interpretazione. Guardo il risultato complessivo, parlo in modo poco “tecnico” e spesso discuto con chi ne sa molto più di me, ma sempre con il massimo rispetto, fonici compresi. Però se il risultato finale non mi soddisfa, non riesco ad andare avanti, anche se spesso preferisco la prima esecuzione (in gergo “il primo take”). Per fare questo le prove sono indispensabili e da ormai trent’anni i miei dischi sono di fatto dei live in studio. È l’unico modo per ricreare spontaneità. Le sovraincisioni non le ho mai sopportate, preferisco lavorare in post-produzione e qui l’elemento chiave è sempre stato Massimo Faggioni, uno dei migliori ingegneri del suono che abbia mai incontrato.”


Al contrario, che cosa avete cercato di sottolineare con maggiore decisione?
“I testi e le atmosfere a cui si riferivano. Per me non era importante il “belcanto”, ma ciò che il testo cercava di comunicare. Nel brano di chiusura – ‘Non escludo il ritorno’ – ci sono leggeri errori d’intonazione, perché mentre cantavo mi ero commosso, e forse per questo suona un po’ troppo melodrammatico. Ma quel brano era il suo lascito, il testamento. Così alla fine non ho cambiato nulla di quell’interpretazione e ho tenuto il primo take.”


Perché solo 12 brani? Domanda difficile e inevitabile: come li hai scelti e perché?
“Ho fatto una lunga ricerca e la scelta è stata complicata, ma alla fine ho seguito solo due criteri. Il primo, e anche il più ovvio, è stato quello cronologico, evitando però la classica compilazione da ‘greatest hits’; il secondo è invece puramente artistico: ho scelto quei titoli in cui mi sembrava di poter dare un’interpretazione originale. Questo disco è stato il più difficile che abbia mai registrato, lo dico sinceramente, ma spero di aver fatto un buon lavoro. E in questo i musicisti mi hanno aiutato molto.”


Ascolta “Franco Califano, il Prévert di Trastevere” su Spotify

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