Il cantautore torna con un disco che unisce ironia e profondità, memoria e quotidianità
Con il nuovo album “È così”, Federico Stragà conferma la sua cifra più autentica: quella di un autore che non cerca l’effetto, ma la verità.
Un disco intimo e sincero, dove ogni brano è un frammento di realtà: piccoli gesti, ricordi, dettagli che diventano canzoni. Tra nostalgia e accettazione, il cantautore veneto costruisce un racconto umano e vicino, dove il tempo non cancella, ma insegna a guardare diversamente.
Nell’album, la collaborazione con artisti simbolo della canzone italiana come Gianni Morandi e Fabio Concato diventa un ponte tra generazioni e linguaggi, confermando la solidità e la sensibilità di un artista capace di coniugare leggerezza e profondità con naturalezza.
INTERVISTA A FEDERICO STRAGÀ
Ogni brano di “È così” sembra fotografare un frammento di realtà, con una sincerità disarmante. C’è più nostalgia o più accettazione in questo disco?
Sicuramente c’è un po’ di nostalgia in alcune canzoni, e forse anche una forma di accettazione, anche se non ne sono del tutto sicuro.
Ciò che è certo però è che tutte le canzoni, come già nel disco precedente, nascono da esperienze vissute, almeno interiormente, quindi sono piuttosto autobiografiche.
Poi, quanto si vada davvero in profondità, credo dipenda da caso a caso.
Sicuramente è un disco che mette insieme il mio presente e il mio passato più remoto.
Collabori con artisti simbolo della canzone italiana come Gianni Morandi e Fabio Concato. In che modo questi incontri hanno influenzato il tuo modo di scrivere — o di guardare alla musica oggi?
Sono cresciuto ascoltando principalmente musica italiana, perciò credo di aver assorbito un po’ qua e un po’ là, in modo del tutto inconscio, tante cose diverse.
Infatti mi capita ancora oggi che, quando faccio ascoltare una canzone per la prima volta, qualcuno mi dica: “questa mi ricorda un po’ Concato” oppure “mi fa pensare a…”.
Per quanto riguarda proprio i due incontri mostrati nel disco, quello con Gianni Morandi e con Fabio Concato, direi che ambedue mi hanno influenzato nel darmi sicurezza nello scrivere.
Ho iniziato a comporre canzoni piuttosto tardi, perché nei miei primi dischi ero soprattutto interprete, e il fatto che artisti come loro abbiano accettato di partecipare anche a questo disco mi ha dato molta fiducia come autore.
Molti testi nascono da gesti quotidiani, piccole epifanie, come se la vita vera fosse sempre a un passo dal verso giusto. Ti capita mai di scrivere per ricordarti come guardarla?
Diciamo che sì, mi capita di scrivere anche per ricordarmi come guardare la vita.
Spesso, quando scrivo di cose della mia quotidianità, presenti o passate che siano, mi accorgo di dettagli che magari avevo dimenticato, o a cui non stavo pensando.
In un certo senso, scrivere mi aiuta a rientrare in contatto con certi temi o sensazioni su cui mi ero soffermato in altri momenti della mia vita e che poi avevo un po’ lasciato andare.
È come se, attraverso una canzone, riuscissi a rientrare in contatto con quelle parti di me che ogni tanto si perdono per strada.
“È così” alterna leggerezza e profondità, ironia e commozione. È un equilibrio naturale per te o una conquista arrivata con il tempo?
Forse c’è un aspetto polivalente che mi capita di far emergere nelle canzoni, non so poi se nella vita reale riesco davvero a essere così, a mescolare le cose tra il serio e l’ironico.
Nella scrittura invece mi capita spesso.
Anche parlando di queste ultime canzoni, mi succede di sentire nominare spesso parole come “profondità” e “ironia”.
Credo che siano territori che tocco senza nemmeno rendermene conto.
Per esempio, pensando ad “Automobilisti”, molti mi dicono che è ironica.
Io, sinceramente, nel momento in cui l’ho scritta, non mi sono accorto di voler essere ironico o di esserlo davvero, però evidentemente quella sfumatura arriva, e questo mi fa piacere.


