Coverizzare non significa omaggiare. Può essere dissacrare, ribaltare, riappropriarsi. Con “Game Cover”, Etta fa proprio questo: prende in mano brani simbolo della cultura italiana e li plasma nel suo universo sonoro ruvido e tagliente, tra nu metal, rock e urgenza sociale.
Un progetto coraggioso, che affonda le mani in brani leggendari e li trascina fuori dalla nostalgia, per trasformarli in manifesti scomodi, disturbanti, liberatori. Da Vasco Rossi a Loredana Bertè, Etta non interpreta: smonta, stravolge, urla. E nella sua voce c’è una verità feroce, una cura che passa anche attraverso il rumore.
Abbiamo parlato con lei di identità, provocazione e della libertà di far esplodere le parole degli altri.
🎙 L’intervista
1. “Game Cover” non è solo un disco di cover: è un manifesto. Cosa ti ha spinta a reinterpretare proprio questi brani e cosa cercavi di ribaltare, musicalmente e simbolicamente, con la tua versione?
Ho scelto questi brani perché parlano di Italia, di identità, di lotta e di contraddizioni. Sono pezzi che conosciamo tutti, ma che spesso abbiamo smesso di ascoltare davvero. Volevo riattivarli. Ribaltarli per me significa togliere loro la patina nostalgica o rassicurante e metterli a nudo, farli gridare di nuovo. Musicalmente ho cercato l’attrito, lo scontro tra bellezza e disagio. Simbolicamente, ho voluto riappropriarmi di un patrimonio collettivo per trasformarlo in un atto di resistenza personale.
2. Hai portato brani leggendari dentro la tua estetica nu metal e rock: c’è stato un momento in cui hai avuto il timore di “tradire” l’originale o ti sei sentita sempre libera di urlare a modo tuo?
Non mi interessa essere fedele all’originale, mi interessa essere onesta con quello che sento. Il rispetto per questi brani sta proprio nella libertà che mi sono presa: quella di attraversarli anche stravolgendoli. Non li ho mai trattati come reliquie, ma come organismi vivi, l’urlo, per me, è una forma di cura e di verità.
3. In “Mi piaci perché” trasformi l’ironia di Vasco in una denuncia feroce contro la violenza di genere. È la provocazione la tua arma più potente? Cosa speri che lasci quella frase così dura negli ascoltatori?
Sì, la provocazione è un detonatore. Quel brano mi ha sempre inquietato per la sua ambiguità. Io l’ho presa e l’ho portata all’estremo, l’ho resa inascoltabile apposta. Voglio che metta a disagio. Perché è solo passando attraverso quel disagio che possiamo riconoscere la violenza normalizzata che ci circonda. Se ti fa male, allora forse ha funzionato.
4. “Game Cover” anticipa un album di inediti nel 2026: cosa porterai con te da questo viaggio nelle canzoni degli altri? Cosa hai scoperto di nuovo su te stessa reinterpretando parole che non erano tue, ma che hai fatto esplodere nella tua voce?
Ho scoperto che anche le parole degli altri possono diventare tue, se le attraversi con verità. Questo disco mi ha insegnato a fidarmi della mia voce, anche quando trema, anche quando urla troppo. Mi ha dato libertà. Porterò con me la consapevolezza che ogni canzone è una possibilità di ribellione, di connessione, di rottura. E che la mia voce può essere un’arma, ma anche una casa.
Etta, è stata in grado di farmi volare con questo album. Queste cover le sento tutte nella pancia. Secondo me chi sa cosa vuol dire subire una grande ingiustizia, può capire più che mai l’energia e il sentimento che questa artista butta fuori attraverso la voce.
Provo grande ammirazione per Etta e consiglio l’ascolto della sua musica.