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Raccontare un’emozione richiede tempo, ascolto e la capacità di lasciare emergere ciò che spesso resta nascosto. Il nuovo video di D’Iuorno dedicato a Cosa vuol dire amore nasce da questa esigenza: trasformare un interrogativo universale in una sequenza di immagini che non spiegano, ma evocano. Il brano, scritto durante i mesi trascorsi a Malta, si muove già sulla linea sottile che separa fragilità e consapevolezza. Il video, realizzato da Viral Production, ne prosegue il percorso attraverso una regia che privilegia l’essenziale, lavorando su gesti misurati, tempi sospesi e un rapporto diretto con lo spazio.

La location di Poggio alla Pieve diventa un luogo simbolico, un terreno in cui l’artista può confrontarsi con le proprie ombre senza nasconderle. Le immagini mostrano un uomo che cerca di riconoscersi, che attraversa la propria storia lasciando cadere tutto ciò che non serve più. Non c’è spettacolarizzazione, ma un realismo poetico che restituisce il peso e la leggerezza di un sentimento indagato nella sua complessità.

In questo dialogo tra musica e immagine, D’Iuorno mette in gioco un modo di raccontare che non pretende di definire l’amore, ma sceglie di attraversarlo. L’intervista che segue approfondisce le scelte narrative, l’approccio visivo e il processo creativo che hanno portato alla realizzazione di questo lavoro. Un’occasione per capire come nasce un video che non accompagna semplicemente una canzone, ma la completa, offrendo allo spettatore una strada diversa per avvicinarsi al suo significato.

Hai scritto “Cosa vuol dire amore” durante un periodo trascorso a Malta. In che
modo quel contesto ti ha influenzato?

Quando sono partito per Malta ero venivo da un periodo duro a livello personale, mi avevano ritirato la patente, avevo cambiato casa e mi ero lasciato con la mia compagna. Avevo bisogno di cambiare aria, qui era inverno e là le temperature minime difficilmente scendono sotto i 10 gradi. Oltre a questo a Malta c’è il mare e delle buone scuole di Inglese che ho frequentato, questi aspetti mi hanno convinto a partire, avevo la necessità di trovarmi in una  terra straniera da solo, lontano dai casini di tutti i giorni. Forse è stato proprio tutto questo che mi ha influenzato.

Firenze è spesso presente nei tuoi lavori. Che rapporto hai oggi con la tua città d’origine?
Con la mia città di origine ho un rapporto di amore e odio. Firenze mi emoziona ancora quando vado a passeggiare in centro, è una città bellissima, allo stesso tempo  non riesco ancora a credere come siano riusciti a trasformarla in una giungla di spaccio a cielo aperto privata dell’artigianato fiorentino e dei fiorentini. “Firenze ci crede” nasce proprio da questo, il bisogno di far vedere la sua bellezza raccontandone parte delle tradizioni come il calcio storico fiorentino.

Dopo la pandemia hai intrapreso una fase più sperimentale. Come si traduce
questa sperimentazione nel tuo nuovo percorso?
Non mi sono mai posto questa domanda perché ho sempre fatto canzoni facendomi trascinare dal mio stato emotivo a volte più sperimentale altre meno. Penso di essere stato anche abbastanza alterno, per questo ho preferito far uscire qualche singolo e non dedicarmi ad un album intero. Adesso invece sento il bisogno di farlo, da poco ho iniziato a lavorare ad un nuovo album in cui sento il bisogno di sperimentarmi.

Guardando al 2026, hai già un’idea chiara del suono o dei temi del prossimo
album?
Ho sempre mischiato la mia intimità con il contesto sociale che vivo, credo che questo lo riporterò anche sul nuovo album, in modo forse più maturo e leggero.

Il concetto di “autenticità” sembra centrale nel tuo lavoro. Come lo difendi in
un panorama musicale spesso omologato?
Non ho mai pensato di essere autentico perché seguivo un tipo di arrangiamento o perché dovevo avere una qualche coerenza nei testi. Bensì credo  che per essere  autentico devi fare quello che ti pare come ti pare.

C’è un ascolto recente, musicale o non musicale, che ti ha aiutato a ridefinire
la tua idea di amore o di arte?
Purtroppo non ce ne sono di recenti, forse qualcosa mi è sfuggito. Posso però dire che De Andrè mi ha aiutato tanto quando ero giovane

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