Skip to main content

METROPOLI è l’album di debutto di DECI, in uscita il 4 aprile insieme al singolo “Americana“, per Beatfactory in distribuzione Believe Music Italia. Viaggi urbani senza fermate intermedie. Anagrafica e musica sono due concetti distanti. La musica può essere una macchina del tempo, ma di fatto non ha età di per sé. DECI lo sa e non ha paura di confrontarsi con un mercato che esige ormai una giovanissima età per approcciarsi al mondo delle 7 note.  Siamo tutti dentro una città, o perché ci viviamo o perché vorremmo viverci. Dentro le metropoli, qui è nato il nuovo disco di DECI. Proprio quegli argomenti che solitamente non tratta nessuno, gli aspetti più cupi della quotidianità, qui sono tra i principali temi affrontati. METROPOLI è il ritratto sonoro di una generazione che si muove in una città che chiede tutto e non restituisce niente, che esige velocità ma lascia immobili, che illude di poter arrivare ovunque ma alla fine sottrae anche la capacità di desiderare. È un disco che osserva l’umanità dietro i neon, le notti insonni dietro le vetrine illuminate, l’eco di passi solitari su marciapiedi affollati. METROPOLI è un viaggio autentico dentro il vuoto urbano, dentro la stanchezza emotiva. Un disco che parla di chi si sente invisibile nella folla, di chi vive nell’attesa di qualcosa che forse non arriva mai.

Il singolo estratto è Americana, il brano che vuole lasciarci l’idea di una parentesi tra la quotidianità che giornalmente ci annichilisce e ci lascia in balia di una routine che pian piano ci spegne: una parentesi che risuona come un tuono pronto a farci tornare con i piedi per terra e con un nuovo spirito di ripresa. Sound anni ’80 rinnovato, voce avvolgente che sa di R&B.

L’interpretazione viscerale, capace di oscillare tra il sussurro e l’urlo emotivo. Un viaggio urbano tra vicoli e strade a quattro corsie, tra le luci e le ombre delle grandi città che ci ingoiano, rendendoci anonimi, come numeri

Abbiamo deciso di entrare nella sua metropoli.

 

  • Qual è il tuo personalissimo rapporto con le metropoli? Che cosa in particolare ti ha portato a scrivere un intero album di debutto sul concetto di “Metropoli”?

 

La metropoli mi ha sempre affascinato. Ricordo la prima volta a Londra a 11 anni, guardavo i grattacieli del quartiere finanziario come imponenti giganti, e questa sensazione è stata riproposta in maniera più elaborata nel 2018 a New York, o l’anno scorso a Tokyo. Le metropoli riescono a farti sentire partecipe di qualcosa di gigante e fuori dalla tua portata, come se fossi un ingranaggio vitale di un grande meccanismo. A volte però il pericolo è il contrario, ovvero quello di sentirsi solo un numero. In ogni caso trovo molto affascinante anche la metropolitana: quante vite si scontrano tutti i giorni lungo quei binari, quanti sguardi e solitudine su quei vagoni. Io lo trovo molto interessante, malinconico ed ammaliante allo stesso tempo.

 

  • E se è vero che siamo tutti dentro ad una città, come descriveresti la tua?

 

Se dovessimo dargli una forma fisica sicuramente sarebbe New York, dove ci sono le attrazioni principali, il lustro patinato della fifth avenue, la bellezza della statua della libertà, le luci delle insegne di Times Square che riflettono sul bagnato, i locali etnici di China Town, la sconfinata meraviglia di Central Park; ma anche la metropolitana degradata, lo smog, i vicoli oscuri in periferia, il degrado di Coney Island, i grattacieli imponenti e soffocanti della financial street.

 

  • Come mai hai scelto proprio il nome “DECI”, per rappresentarti in questo tuo nuovo inizio? Lo stai effettivamente sentendo come un nuovo inizio?

 

DECI è un nome che mi accompagna dalla 5a elementare, da quando un compagno di classe iniziò a chiamarmi De Cesco invece di Francesco. Poco dopo nacquero varie storpiature, fino a DECI che banalmente è il soprannome che utilizzano i miei amici di sempre, e mi piaceva molto l’idea di poterlo utilizzare come nome d’arte, perchè mi ricorderà sempre una parte importante della mia vita e del mio passato, a prescindere da dove andrò.

 

  • E come hai scelto le personalità che ti hanno aiutato nella scritta e nella composizione dei tuoi brani? Li senti comunque tuoi?

 

Non mi sento di dire di aver scelto una personalità. Io ho seguito semplicemente 2 cose che ritengo fondamentali: quello che mi piace da un punto di vista estetico e di scelta sonora, che poi ho cercato di adattare anche a me, come persona e come figura artistica, e la scrittura, che rimane un tassello fondamentale. Io ho bisogno di scrivere cose impegnate e di spessore, anche se dovessi parlare di “quanto è bello andare al mare” cercherò un modo per non farlo sembrare banale. 

 

  • Come sei entrato in contatto con Beat Factory? Quali sono i compiti di un’etichetta discografica, secondo te? E di che cosa non avevi assolutamente idea prima di intraprendere questa avventura?

 

Sono entrato in Beat Factory grazie a Stefano Paviani, co-autore di quasi tutti i mie brani, che mi ha presentato Filadelfo Castro. Io credo che un etichetta debba essere trasparente e debba aiutare l’artista ad emergere e a farsi conoscere. Non parlo per forza di investimenti economici perchè il primo a promuoversi deve essere l’artista stesso, ma credo che qualche spintarella tramite la distribuzione debba arrivare, perchè altrimenti è un cane che si morde la coda. Se non c’è questo allora tantovale distribuirsi da soli. Per il resto sicuramente non avevo idea che fosse così difficile trovare la possibilità di farsi ascoltare dai curatori dei noti canali streaming, sembra che siano tutti a farti un piacere anche solo per trovare il tempo di ascoltarti. Questo meccanismo non credo sia sostenibile, perchè trasforma una forma d’arte in un mero numero decontestualizzando qualsiasi cosa rappresenti quel numero. La musica non può essere considerata solo come una scelta di business, perchè si ammazza il prodotto stesso.

Lascia un commento