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“Dove Te Ne Vai Stanotte” è il quarto lavoro dei Demagó, che segna un’evoluzione nel loro sound.
Con cinque brani intensi, la band esplora nuove sonorità mantenendo però la loro identità unica. Il produttore Michele Guberti ha guidato il gruppo in un percorso creativo pieno di sfide, portando a un mix dinamico di energia e riflessione.
L’EP affronta tematiche profonde, come la condizione delle donne in Iran e i paradossi dell’essere artista, con un narratore esterno che guida la narrazione senza giudicare. Un lavoro che si distingue per la sua autenticità e la ricerca di equilibrio tra le diverse influenze musicali e le storie raccontate.


In “Dove Te Ne Vai Stanotte” si nota un cambiamento significativo rispetto ai vostri lavori precedenti. Quali sono state le principali sfide nell’adozione di questo nuovo approccio stilistico?

Dopo l’ultimo album “Anime nella pioggia”, sentivamo l’esigenza di evolverci ancora, come capita ogni volta che ci prepariamo a un nuovo lavoro. La sfida più grande è stata accettare che le canzoni stessero prendendo una forma a volte inaspettata e un po’ diversa dai nostri dischi precedenti, pur mantenendo alcuni tratti distintivi che ci contraddistinguono. Abbiamo esposto la nostra idea al produttore Michele Guberti, spiegandogli l’intenzione di avere sempre una base ritmica dinamica e avvolgente, perché è ciò che volevamo proporre. Lui ha accolto questa novità, e insieme abbiamo intrapreso un percorso bellissimo e tortuoso, pieno di insidie ma anche colmo di energia.


Avete descritto questo EP come un equilibrio tra un’impronta live e un’attenzione costante ai temi trattati. Come avete lavorato per mantenere questa dualità senza sacrificare l’autenticità?

Questa è stata forse la sfida più grande che abbiamo affrontato. Non so se l’abbiamo superata, ma è stato il nostro fardello e la croce che ci ha accompagnato durante il percorso. Abbiamo adottato alcuni espedienti particolari, come la possibilità di avere strofe che consentissero di dire tutte le parole necessarie, senza comprimerle o piegarle a una fruizione di “facile ascolto”. Nei ritornelli, invece, era importante trovare poche parole che esprimessero bene il concetto, unito a un certo grado di orecchiabilità. Lo stesso vale per la musica: mantenere l’autenticità è ed è sempre stato il nostro obiettivo principale.


Nel disco affrontate tematiche profonde e diverse, come la condizione delle donne in Iran e i paradossi dell’essere artista. Qual è stata la traccia più difficile da comporre, sia musicalmente che emotivamente?

Emotivamente, “Hey mà” è stato il brano più intimo e personale. Inoltre, “Brucia il sogno sotto il velo” è stata molto impegnativa, sia dal punto di vista musicale che emotivo. Affrontavamo un tema enorme, e volevamo parlarne senza scadere nella demagogia. Musicalmente, la canzone è un intreccio di generi: pennellate di rock, funk, new wave, con un ritornello che richiama aperture post-punk. Ci sono anche parti parlate, a cui è stato fondamentale dare il giusto tono. Insomma, non ci siamo fatti mancare nulla. Tutte le tracce hanno avuto la loro complessità, ma per motivi differenti.


Il “misterioso narratore esterno” presente nell’EP crea un dialogo unico con i protagonisti. Come è nata questa idea narrativa, e che tipo di messaggio volete trasmettere con questo espediente?

Quasi tutte le canzoni non sono autobiografiche, anche se ci sono vari punti di connessione con ogni personaggio e ogni storia. Volevamo creare una sorta di distacco: un narratore che si innalza al di sopra delle parti, senza sentimenti o giudizi a priori. È un mediatore dell’anima, che accompagna i protagonisti entrando in empatia con loro, senza diventare lui stesso il protagonista. In alcuni brani ci rendevamo conto che tendevamo a entrare in maniera troppo personale, e questo comprometteva la qualità della storia, che doveva invece essere articolata e dettagliata, senza esprimere opinioni personali.


Il processo di produzione ha portato a rielaborare molte delle idee iniziali. C’è stato un momento in cui avete pensato di abbandonare un brano o di cambiarne completamente il significato?

Ci sono stati vari momenti di smarrimento riguardo all’evoluzione di alcuni brani. Tuttavia, sentivamo che le canzoni che poi sono finite nell’EP erano quelle “necessarie”, e volevamo continuare a dedicarci a loro. Musicalmente, alcune idee hanno cambiato significato durante il percorso, ma le tematiche sono state la nostra ancora. Paradossalmente, è stato l’unico album in cui non abbiamo abbandonato nessun brano, nonostante sia stato uno dei più rielaborati.

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