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“Cronico” non è solo una canzone: è una confessione lucida e spietata. Dellamore ci mette davanti al paradosso di una mente che corre troppo, che sente troppo. Con un sound potente e testi intrisi di metafore cliniche, l’artista trasforma la sofferenza in movimento. Una chiacchierata intima con chi ha fatto della vulnerabilità la propria forza creativa.

 

Nel testo di “Cronico” si percepisce una continua lotta tra lucidità e follia. Ti senti più vicino all’una o all’altra?

Mi sento inesorabilmente più vicino alla follia. È questo ciò che mi rende cronico. Però credo che nel momento stesso in cui mi rendo conto di ciò, io venga salvato in angolo da un briciolo di lucidità, che mi riporta a galla per prendere fiato, per poi tornare di nuovo giù.

Da dove nasce la scelta di usare metafore “cliniche” per raccontare emozioni?

In realtà non è la prima volta. Il mio primo album ufficiale si chiamava “Sintomi”, uscito nel 2018 in copia fisica. (Sto pensando se metterlo disponibile sulle piattaforme musicali)
Quasi ogni brano di questo disco ha un gioco di parola o metafora che ha a che vedere con il mondo clinico. Mi ha sempre affascinato il mondo della medicina. E detto da un ipocondriaco è tutto dire. Anche in questo caso, non potevo non farmi ispirare dalla parola Cronico, e lasciar parlare il Dottor Fre.

Quanto c’è di autobiografico in questo brano e quanto invece è racconto universale?

Questo brano è al 100% autobiografico. Nulla di ciò che ho scritto o raccontato in questo testo è lasciato al caso. Prendo ispirazioni da cose dette, successe, pensate e fatte con la persona interessata. Pensa che il brano è nato da un messaggio che ho ricevuto che diceva: “Sei proprio cronico tu”.

Come reagisce il pubblico quando ti mostri così apertamente fragile?

Noto che il pubblico crea un legame più solido con la mia musica quando mi metto a nudo con i sentimenti e le emozioni. O quando racconto situazioni che possono essere condivisibili e dove l’ascoltatore può immedesimarsi senza troppi sforzi. Perché alla fine, ci siamo passati tutti. Quindi quando ascoltano brani come Cronico, gli sto raccontando una storia che porta loro a pensare: “Ti capisco perfettamente, fratello”.

Pensi che la società attuale lasci ancora spazio per vivere le proprie emozioni?


La società di oggi e di sempre no, credo per degli stereotipi sbagliati, come il piangere visto come segno di debolezza, o la forza fisica vista come segno di predominanza. Ma anche per colpa della tecnologia che sembra sempre prendere più spazio rispetto al modello umano delle cose. Basta pensare che adesso ci sono le AI per creare musiche e testi da zero, e che ti replicano la voce di qualsiasi cantante. E dove stanno le emozioni? Dove sta il processo creativo che nasce da un sentimento unico?
Però penso che stia anche a ognuno di noi decidere come vivere le proprie emozioni senza curarsi degli altri. Sei tu, con le tue emozioni, a crearti il tuo spazio. Sta a te se vuoi condividerlo, ed invitare gli altri ad entrare. Nessuno potrà mai dirti come gestire il tuo spazio emozionale.

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