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Lo avevamo già intercettato quando, nel 2022, aveva partecipato a Musicultura, ma è con questo album che abbiamo imparato a conoscere Caspio: cantautore rock, un ragazzino che ha viaggiato nel tempo dagli anni Novanta, nome della fiorente scena triestina di questi ultimi anni, dove ci fanno notare che i nomi di un ambiente musicale tutto sommato ristretto si intrecciano inevitabilmente. E non ce ne voglia Caspio se associamo il suo sound a quegli anni lontani che erano fatti di sudore, concerti dei Ministri a cinque euro, Manuel Agnelli che era un nome come un altro e X-Factor non sapevamo neanche cosa potesse essere, e musica ascoltata imbronciati con delle cuffiette improbabili. Quegli anni, necessari, nostalgici e sentimentali, sono stati così formativi e incredibili che, in questo periodo di sovrabbondanza e superficialità, fa così bene affondarci di nuovo. 

 

Caspio fa un disco dedicato a tutti noi mediocri e sinceri, che non riusciamo proprio a vivere di it-pop e l’unica cosa che ci tiene incollati a un disco sono le chitarre elettriche. Se siete sopravvissuti grazie ai primi Verdena, probabilmente qui vi sentirete a casa: l’oscurità, quei dischi dei Nirvana che abbiamo tutti consumato, il dichiararsi fieramente dei normali sfigati, una netta divisione tra noi e tutti gli altri. Dal titolo Noi che viviamo in un mondo perfetto, questo bellissimo album indipendente è un manifesto per chi ha ancora sentimenti analogici, per chi è intrappolato in una routine, per chi, banalmente non ce la fa più, ma si lascia trasportare dalla normalità, da un mondo tutt’altro che perfetto. E basta affidarsi alla tracklist, per lasciarsi avvolgere dalle emo-vibes di cinismo, normalità e indecisione, piccole voragini di noi, reduci dagli anni Novanta, che ci portiamo dietro come una zavorra da quando abbiamo lasciato andare quel lettore CD portatile che un tempo invece sembrava salvarci la vita ogni giorni. 

 

Un bellissimo mix che coinvolge anche un set di archi sapientemente incastrati nel brano “Arrendersi”, senza che nulla suoni mai melodrammatico, soltanto un invito ad arrendersi a un sistema che no, l’alternative rock lo vuole solo di plastica e adatto a Sanremo. Ma con questo disco, torniamo a quell’adolescenza da cui non siamo mai veramente usciti, a quei dischi che ascoltavamo per mesi interi, a sfavore di questi giorni tutti uguali dove a mala pena arriviamo al terzo brano di una playlist, ai locali che hanno chiuso, agli amici che non sentivamo mai ma ritrovavamo sempre ai concerti. 

Un disco che è anche un mondo, non troppo perduto. 

 

GL

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