Komorebi è un piccolo film strumentale diviso in sei atti, dove ogni traccia porta con sé un’atmosfera distinta. L’Intro è una soglia: pochi elementi, beat rarefatti, una tensione trattenuta che apre lo spazio all’immaginazione. Komorebi, brano omonimo, è un momento di quiete apparente. La luce che filtra tra le fronde si traduce in suoni delicati e circolari, un tentativo di consolazione sonora. La tensione esplode in Age of paranoia, dove il ritmo si fa più serrato, quasi schizofrenico. C’è un senso di urgenza e instabilità che destabilizza volutamente l’ascoltatore. Poi arriva Homesick, struggente e personale: l’incontro tra delay chitarristici e tappeti sintetici crea un effetto sospeso tra passato e presente. Don’t worry…you’re dead! mette in scena una transizione tra corporeità e dissolvenza: si parte da un piano classico e si finisce in un paesaggio elettronico impalpabile. L’EP si chiude con What are you running from?, un brano più vivace e ritmato, ma dal retrogusto amaro. Buonarroti non dà risposte, ma ci fa sentire tutto il peso delle domande.
Il videoclip finale intreccia i sei brani in un’unica storia: da dove nasce questa scelta?
Per la verità non è stato frutto di una pianificazione rigorosa. O meglio, all’inizio non ho composto con l’intenzione di raccontare un’unica storia. In un secondo momento, però, mi sono reso conto che avrebbe potuto esserci un filo conduttore tra i vari paesaggi sonori. Ho fatto qualche tentativo di ascolto cambiando l’ordine delle tracce e mi è sembrato che si potessero intrecciare dando vita a un unico concept.
Hai lavorato direttamente alla regia o hai affidato a qualcun altro la parte visiva?
Ho affidato il tutto a un grafico/illustratore/videomaker (Nicola Iacovella aka Scoppi_ARTE), dandogli la massima libertà creativa. Non ci sentivamo da un po’ ma ci lega un’amicizia ventennale. Gli ho fatto ascoltare le tracce e lui ha tirato fuori questo disegno che mi ha mandato letteralmente fuori di testa! Sinceramente non credevo che un altro artista potesse avvicinarsi così tanto all’idea che avevo in mente.
Quali simboli hai voluto rappresentare con i colori e le luci nel video?
Tutto ruota intorno al concetto di “komorebi”, termine con il quale i giapponesi descrivono l’istante in cui la luce solare filtra attraverso le fronde degli alberi. È bello pensare che la luce possa sempre trovare il suo spazio per rischiarare l’ombra; ma tutto questo risulta allo stesso tempo malinconico poiché subentra la consapevolezza che si tratta di attimi fugaci.
Cosa significa per te la fusione tra paesaggio naturale e paesaggio sonoro?
Mi piace molto rappresentare i contrasti. L’idea che il videoclip illustrasse elementi naturali ma che la musica, invece, fosse costituita spesso da elementi sintetici, mi ha stuzzicato fin dall’inizio. Ho pensato che queste componenti, apparentemente tanto distanti, potessero fondersi in un unico amalgama.
Il video rappresenta un punto d’arrivo o l’inizio di una nuova fase creativa?
Spero vivamente che sia l’inizio di una nuova fase creativa. Sto constatando che questo progetto musicale acquista un valore aggiunto se associato a un altro mezzo di espressione artistica, quello visivo. Mi piacerebbe consolidare questo aspetto e sperimentare in tale direzione in futuro.