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Che belle sonorità che ci arrivano dalla band salernitana che proprio di recente tornano a dar voce al loro esordio di qualche mese fa dal titolo omonimo “Brothers No More” regalandoci il video ufficiale del singolo “Technicolor”. E lo sguardo è diretto al passato anche di un certo rock alternativo indipendente che viveva a cavallo tra gli ’80 e i ’90… ai nostalgici di quel tempo, questo disco raccoglie sapori, odori, antichità di modi analogici… merita un ascolto attento, capace di far rivivere fasti senza mai perdersi l’occasione di starci dentro a questo tempo nuovo digitale. Il passato dicevamo… suona rock…

Un esordio che arriva da un territorio forse non proprio ricco di queste sonorità o sbaglio?

In realtà non è proprio cosi.  Da Salerno e provincia sin dai primi anni 80 l’indie ha sempre avuto un suo fascino. Band come gli Spleen Fix o i Voices hanno tracciato un sentiero che ancora oggi è presente nella memoria storica del territorio. Purtroppo l’errore è quello di ritenere la Campania come un blocco unico dove prevale solo l’aspetto -dignitosissimo, per carità- dell’Etno. Ovviamente è sempre necessario  tenere presente che  parliamo di indie e dintorni. 

E dunque se vi chiedessi in che modo e quanto la vostra provincia ha condizionato la scrittura di questo EP?

La vita vissuta, gli errori commessi, l’analisi di ciò che ti circonda e che ti ha circondato non può non influenzare chi sei e quindi la tua proposta artistica. Bisogna, però, ricordare che due di noi hanno origini inglesi e che una visione più internazionale è anche’essa presente. Infine, vivendo in un mondo globalizzato, siamo continuamente bombardati da immagini omologanti che disturbano le anime più attente e  questo non è da sottovalutare se l’arte è il frutto della nostra interazione con il mondo. .


A quando il misurarsi con la lunga distanza? Un EP serve per testare il pubblico o la vostra capacità?

Sinceramente non ci abbiamo pensato. Il progetto nasce nel 2022 e l’unica nostra istanza era di esprimere ciò che tenevamo dentro sia a livello musicale sia a livello lirico.

Per rispondere alla prima parte della domanda, invece,  direi il 2025, ma ci dobbiamo confrontare con etichetta e management.

Posso dirvi che la scrittura ma soprattutto il cantato di “White Daffodils” esce molto fuori dal resto del lavoro?

Credo che dipenda molto dalle nostre influenze musicali -spesso inconsce- .  White Daffodils affronta il problema della perdita a 360′. Affrontare le cicatrici di un lutto non è semplice: la paura di aver perso qualcosa che mai più rivedrai spesso si “confonde” con la speranza di rincontrarsi in un qualche aldilà non meglio specificato…credo  che molto dipenda da un mix di tutti questi fattori musicali e non.

Non siamo più fratelli oggi? Cosa resta dell’umanità di un tempo secondo voi?

Bella domanda… credo che abbiamo perso parte della nostra umanità. Oggi siamo più “IA” e meno umani e quindi meno emotivi. Stiamo perdendo la capacità di relazionarci con la natura di cui siamo parte integrante e questo ci porta ad essere meno empatici. Ragione per cui stiamo uccidendo il nostro pianeta: è facile fare del male alle cose che sentiamo distanti da noi.

Guardando la scena indie: cosa prendete dalle abitudini italiane per il vostro suono decisamente americano?

Dalle abitudini italiane prendiamo il coraggio di affrontare una scena musicale decisamente non “amica”. Le band indie italiane, pur essendo validissime, hanno sempre faticato ad abbattere un muro di “fetenzie” neomelodiche e pop della peggior specie. In Italia non si dà lo giusto spazio alla musica indie rock come succede altrove ed è questo il problema maggiore.

Spesso ci dicono che abbiamo un sound americano che per noi non è un  problema, ma ci teniamo a precisare che si tratta dell’America dei R.E.M piuttosto che dei Television o dei Ramones… se parlaimo di questa America -che oggi è tornata prepotentemente in auge- per noi è un onore.

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