Con “Breaking All the Rules”, i Known Physics entrano in scena con un disco dall’identità ben definita: ruvido, malinconico, mai accomodante. L’EP si muove tra il rock emotivo e una scrittura che predilige le crepe piuttosto che le certezze. Le canzoni sono cortocircuiti emotivi in cui ogni parola pesa, ogni apertura melodica è una fuga, ogni silenzio una condanna. I suoni sono asciutti, stratificati quanto basta per non diventare manieristici. La forza del disco non sta tanto nell’originalità quanto nella coerenza: quattro brani che parlano con lo stesso tono, quello sincero di chi ha perso, ma ha ancora la voce per raccontarlo. E far rumore, anche nel silenzio.
Quanto tempo avete dedicato alla produzione dell’EP?
È stato un processo lungo, ma non solo per questioni tecniche. L’EP ha richiesto tempo perché ogni brano doveva maturare emotivamente prima ancora che musicalmente. Abbiamo attraversato momenti intensi nella scrittura e nella pre-produzione, a volte mettendo in pausa tutto per ritrovare il senso di ciò che stavamo raccontando. Non volevamo correre: ci interessava che ogni dettaglio fosse al posto giusto al momento giusto.
Avete lavorato in studio tutti insieme o le registrazioni sono nate separatamente?
Abbiamo sempre lavorato sinergicamente nel nostro “KP Studio”. Le idee embrionali sono nate tramite audio che ci siamo mandati quando non eravamo insieme e ognuno poteva dare libero sfogo alla propria creatività. Successivamente ci siamo sempre ritrovati in studio per condividere, discutere e mettere insieme tutti i pezzi. Lavorare di gruppo è stato sempre fondamentale, anche per smussare o esaltare certe scelte.
Ci sono state versioni alternative di qualche brano che avete poi scartato?
In realtà no, è stato un procedimento di costruzione sempre adeguatamente monitorato da più persone in un clima critico e libero allo stesso tempo. Ci sono state delle modifiche, ovviamente, ma niente che stravolgesse l’idea originale del singolo brano.
Avete curato voi anche gli arrangiamenti o vi siete affidati a un produttore?
Gli arrangiamenti li abbiamo curati in prima persona. È una parte del lavoro a cui teniamo particolarmente anche in relazione alla chimica tra di noi che abbiamo maturato nel tempo lavorando sempre a stretto contatto l’uno con l’altro.
Come descrivereste il vostro approccio sonoro?
È esplosivo ed emotivo prima che tecnico. Partiamo da quello che vogliamo trasmettere e poi troviamo i suoni che meglio traducono le nostre sensazioni. Ci piace alternare spazi vuoti e momenti più saturi e cerchiamo sempre un equilibrio tra energia e melodia. Il nostro suono è fatto di contrasti, un po’ come lo siamo noi.