C’è una rabbia che pulsa sotto pelle, e LaFabbrica la traduce in un disco che ha tutta l’urgenza di chi sente di non avere più tempo per restare zitto. Barriere è un disco che racconta il nostro presente fatto di divisioni, guerre interiori e disillusione generazionale. Ma lo fa con consapevolezza, evitando la retorica e scegliendo la sostanza.
L’apertura è affidata a Non mi aspettare, un pezzo rabbioso e immediato che incarna perfettamente lo spirito punk del gruppo. In Fuori, le chitarre si intrecciano su un testo che parla dell’apatia moderna e dell’egoismo di chi vive online ma ignora il dolore reale. Il cambio emotivo arriva con Kiev, dove LaFabbrica racconta la guerra in modo personale e straziante. È qui che il disco ti costringe a fermarti.
Nella tua testa è una routine alienante che suona come un allarme che non smette di suonare, mentre Come stai Matteo? torna a colpire con un testo duro, quasi filosofico, che non lascia scampo. Dopo tutto sono io è la ballata dell’accettazione: l’abbandono non come perdita, ma come riconquista del sé. Un momento di vera bellezza.
Regina cambia rotta, immergendosi in sonorità più stoner, per parlare della dipendenza emotiva con un linguaggio tagliente. A fari spenti è il punto di rottura definitivo: un gesto di incoscienza che diventa simbolo di liberazione. Intorno chiude l’album con malinconia lucida, raccontando la depressione come uno specchio sociale.
Barriere è un disco da ascoltare tutto d’un fiato, poi da riprendere a pezzi, come si fa con le cose che fanno bene solo dopo aver fatto male.