Sambèło da ròcoło non è un disco facile: è complesso, ostico e completamente fuori dalle convenzioni musicali italiane. Troppo sperimentale per i jazzisti più accademici, troppo sottile per i rocckettari, il lavoro di Anatemah costruisce un mondo a sé, un universo sonoro che va accettato secondo le regole interne del trio prima di poter essere compreso.
Il gruppo è formato da musicisti eclettici, ciascuno con un ruolo preciso nella costruzione di questo universo: Alessandro Fedrigo, oltre a suonare e contribuire alla direzione artistica del progetto, è anche il discografico che ha fondato l’etichetta dell’album, portando una visione curata e indipendente che unisce libertà creativa e concretezza produttiva. Gli altri membri, Michele Tedesco e Gian Ranieri Bertoncini, completano il trio con strumenti e approcci che spaziano dalla tromba alla batteria/elettronica, creando dialoghi sonori continui tra improvvisazione e arrangiamento strutturato.
La produzione, a cura di Frank Martino, amplifica le possibilità espressive del trio, ma non addolcisce mai la natura sperimentale del disco: ogni suono, ogni interazione strumentale, ogni scelta ritmica richiama l’ascoltatore a entrare in un mondo a sé stante, dove le regole sono definite dai musicisti e non dalle convenzioni del mercato o della scena musicale.
Il fascino di Sambèło da ròcoło risiede proprio in questa combinazione di talento, visione e indipendenza: Alessandro Fedrigo e i suoi compagni non cercano l’immediatezza o la popolarità facile. Il risultato è un disco che appare come un’esperienza complessa e affascinante, che richiede tempo e attenzione, ma che premia l’ascoltatore con un senso di scoperta e meraviglia.


