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Con il nuovo brano “404: Woman not Found”, la pianista e compositrice Giulia Mazzoni trasforma il dolore della violenza digitale in un atto di consapevolezza collettiva. La sua musica, nata dal pianoforte e aperta a contaminazioni visive e sperimentali, intreccia sempre emozione e responsabilità sociale. In occasione del concerto prodotto dal Teatro Regio di Parma, Mazzoni racconta come la sua arte sia al tempo stesso intima e universale, capace di toccare temi urgenti e contemporanei.


1. “404: Woman not Found” affronta il tema delicato della violenza digitale. In che modo sei riuscita a trasformare una ferita collettiva in musica e consapevolezza?

Il titolo apre a scenari molto forti, perché l’errore 404 è un simbolo universale di “assenza” e “pagina non trovata”, che qui diventa metafora di donne rese invisibili. Con 404: Woman not Found ho cercato di trasformare il linguaggio freddo del digitale in una metafora viva: quell’errore che segnala un’assenza diventa il simbolo di tutte le donne cancellate, zittite o aggredite nello spazio virtuale. La violenza digitale è una ferita collettiva, invisibile e profondissima, che tocca il corpo e l’anima. L’ho provata anch’io, fin da giovanissima, e ancora oggi mi trovo a ricevere toni violenti e minacce: sul web c’è troppa violenza verbale, ed è inaccettabile. Ho sentito la necessità di dare voce a questa assenza con la musica, componendo un brano in cui il pianoforte diventa chiave, memoria e testimonianza. Lo stile alterna momenti lirici e struggenti a sospensioni, come un interrogativo aperto senza risposta. La risposta dobbiamo darla noi con la scelta delle parole, strumenti da usare con cura che possono diventare carezze o schiaffi. La musica di questo brano apre uno spazio di consapevolezza, empatia e resistenza, trasformando il dolore in luce e ricordando che nessuna donna deve più essere “not found”.


2. Il tuo concerto al Teatro Regio di Parma unisce pianoforte, immagini e sonorità sperimentali: cosa significa per te creare un’esperienza immersiva per il pubblico?

Significa offrire al pubblico non solo un ascolto, ma un’esperienza totale. Un viaggio. Al centro resta il pianoforte, che è la mia voce più autentica, e la mia musica, che nasce dal presente e dialoga con chi la vive in sala. Le immagini sono strumenti per amplificare l’intensità emotiva e rendere ancora più tangibile il viaggio che la musica propone. Creare un’esperienza immersiva per me vuol dire permettere a chi ascolta di entrare in un mondo interiore fatto di luce, silenzi e visioni, dove la realtà si trasforma in emozione condivisa.

I video che accompagneranno il concerto sono stati realizzati da grandi registi come Marco Amenta, con cui ho collaborato scrivendo la colonna sonora del suo film Anna, presentato alla Mostra di Venezia e premiato a livello nazionale e internazionale. Ci saranno anche le splendide animazioni e i lavori video di Samuele Alfani, Fabrizio Cestari e molti altri registi con i quali ho condiviso collaborazioni importanti.

Credo che un concerto oggi di pianoforte, soprattutto se proposto da una compositrice, debba essere al passo con i tempi non solo musicali ma anche creativi. Per questo ho voluto che ci fosse una narrazione visiva e scenica che accompagnasse la musica, così da trasformare l’esecuzione in un’esperienza completa e immersiva. Essere inserita nel cartellone del Teatro Regio di Parma, che ha scelto di produrre questo concerto, è per me un riconoscimento prestigioso. Significa che una delle istituzioni musicali più importanti al mondo ha deciso di dare spazio a una compositrice e pianista della nuova scena classica: un segnale di evoluzione culturale che apre nuove possibilità alla musica di oggi. È per me un onore, ma anche una grande responsabilità.


3. Nei tuoi programmi convivono composizioni originali, omaggi a grandi maestri come Philip Glass e Michael Nyman e persino una rivisitazione di Zombie dei Cranberries. Come scegli i brani da portare in scena?

Le mie composizioni sono il cuore pulsante di ogni concerto ma per questo appuntamento così speciale al Teatro Regio di Parma ho deciso di affiancare alla mia musica anche pagine di alcuni grandi maestri contemporanei che hanno segnato profondamente il mio percorso: Philip Glass, con le sue architetture minimaliste che hanno nutrito le mie radici, e Michael Nyman, un maestro e un amico con cui ho avuto il privilegio di collaborare.

Ho anche scelto di proporre una mia rilettura di Zombie dei Cranberries: è un brano che ho sempre amato e che ho riadattato al pianoforte solo. Porta con sé un messaggio attuale e urgente: un invito a non restare “Zombie” indifferenti e disumani di fronte alla violenza della guerra. È anche un ricordo a Dolores O’Riordan, una grande artista che ho avuto la fortuna di incontrare durante il mio percorso.


4. Dalla Toscana ai palchi internazionali, la tua musica ha sempre mantenuto un forte legame con le emozioni e con l’impegno civile. Quanto senti che questi due aspetti – arte e responsabilità sociale – si intrecciano nel tuo percorso artistico?

Per me arte e responsabilità sociale si intrecciano in modo spontaneo: quando compongo racconto ciò che ho vissuto e che mi ha emozionato. Anche la musica strumentale può farsi portavoce di tutto questo, perché il pianoforte riesce a esprimere emozioni e significati senza bisogno di parole. Credo che salire su un palco significhi anche assumersi una responsabilità: non soltanto condividere la propria musica, ma trasformarla in un messaggio capace di toccare e far riflettere chi ascolta.

Per questo negli anni ho sentito l’esigenza di affiancare al mio percorso artistico progetti sociali e culturali nei quali credo profondamente: dalla collaborazione con il carcere di San Vittore alle iniziative dedicate ai diritti delle donne, fino alla mia esperienza come Presidente di Musica Italiae. La musica per me non è mai fine a sé stessa: oltre a emozionare, come è giusto che sia, ha la forza di generare consapevolezza e cambiamento.

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