E’ mai possibile che in questo nostro paese ogni volta bisogna ricominciare tutto daccapo facendo finta che non si sia fatto nulla in un determinato settore, chiusi in un’autoreferenzialità che, di per sé del tutto legittima, diventa assai discutibile quando si opera con risorse pubbliche, comportando uno spreco intollerabile per rifare quanto è stato già fatto e ri-acquistare, a volte anche letteralmente, quanto è già stato acquisito a una fruizione pubblica?
Il riferimento è al moltiplicarsi di iniziative nell’ambito degli archivi di musiche di tradizione orale che ignorano o fingono di non sapere dell’esistenza di una “RETE DEGLI ARCHIVI SONORI DI MUSICHE DI TRADIZIONE ORALE” che, con circa 12.000 documenti già acquisiti, catalogati e immessi nel sistema di fruizione e con altrettanto materiale ancora da catalogare, si configura come una delle iniziative di maggior rilievo realizzate nel nostro paese nell’ambito della valorizzazione dei patrimoni immateriali.
Il progetto è stato avviato nel 2007, su proposta e poi con il coordinamento di Domenico Ferraro e Vincenzo Santoro, ed è stato inaugurato due anni dopo, con l’Archivio Sonoro della Puglia con una grandiosa festa in cui si sono dati appuntamento gli stessi protagonisti di questa tradizione culturale (qui sull’inaugurazione del 2009: (https://m.brindisisera.it/dettaglio.asp?id_dett=5713&id_rub=3)
Sei finora gli archivi avviati in Abruzzo, Basilicata, Campania, Marche, Puglia e Umbria, mentre, dopo una troppo lunga pausa determinata inizialmente dalla pandemia, sono ripresi i lavori per la realizzazione degli archivi relativi alla Calabria e al Lazio e per l’Archivio Sonoro Arberesh.
Realizzato in collaborazione con le principali strutture di settore (tra le quali Accademia Nazionale di Santa Cecilia, AESS-Archivio di Etnografia e Storia Sociale della Regione Lombardia, il Centro di Dialettologia e Tradizioni Popolari di Bellinzona, l’ex Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma –oggi Istituto Centrale per la demoetnoantropologia-, l’Archivio Franco Coggiola del Circolo Gianni Bosio e le Teche RAI) e numerosi archivi privati (tra i quali si segnalano per importanza e ampiezza gli Archivi Giovanni Rinaldi, Valentino Paparelli, Franco Pinna, Roberto De Simone e Otello Profazio), il progetto ha portato all’emersione di una grandissima mole di materiali (sonori, audiovisivi, fotografici e cartacei) in gran parte sconosciuti agli stessi addetti ai lavori, offrendo una ricostruzione delle tradizioni musicali delle diverse regioni che, dagli anni ’50 del ‘900, arriva ai nostri giorni.
Per ogni archivio sono state attivate consulenze scientifiche con alcuni dei più stimati etnomusicologi italiani: in particolare, Maurizio Agamennone per la Puglia, Nicola Scaldaferri per la Basilicata, Raffaele Di Mauro per la Campania, Valentino Paparelli per l’Umbria, Piero Arcangeli per le Marche, mentre in Abruzzo si è resa superflua la nomina di un consulente scientifico in quanto la redazione annovera i principali ricercatori e studiosi delle tradizioni locali tra i quali Domenico Di Virgilio, Carlo Di Silvestre, Enrico Grammaroli, Omerita Ranalli e Gianfranco Spitilli.
L’approdo alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, nel 2019, ha costituito un traguardo a lungo atteso e ricercato in quanto, raccogliendo l’imponente massa documentaria in una sola teca, finalmente si offre a studiosi ed appassionati la possibilità di ricerche unitarie e valutazioni comparative impossibili a farsi nelle sedi regionali che ospitano soltanto la teca relativa a quella specifica area culturale e geografica.
Ecco, per ritornare alla domanda iniziale: è possibile che istituzioni interessate alle tradizioni popolari ed esperti e studiosi del settore ignorino tutto ciò? Un’iniziativa peraltro realizzata d’intesa con il Ministero dei Beni Culturali e ospitata in sedi pubbliche di un certo rilievo…


