«Questo spettacolo non vuole persuadere nessuno, vuole dire soltanto che noi siamo i figli degli eventi, ma anche i responsabili del presente. In ogni momento, in ogni scelta, in ogni silenzio, come in ogni parola, ognuno di noi decide il senso della vita propria e di quella altrui».
L’attrice Antonella Questa e il “raccontatore” Luca Scarlini hanno concluso con questo monito La beffa, la cena: un duello di parole. Sem Benelli, Giacomo Matteotti, Benito Mussolini, andato in scena ieri sera, lunedì 10 giugno, nella Sala Bisaglia del Cen.Ser. di Rovigo.
Lo spettacolo è stato scelto da Musikè, la rassegna di musica, teatro, danza promossa e organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, per commemorare Giacomo Matteotti nel giorno del centenario del suo assassinio.
Antonella Questa e Luca Scarlini hanno ricostruito da una prospettiva originale una delle pagine più nere della nostra storia recente, intrecciando il racconto della tragica morte del deputato socialista con il racconto della vicenda biografica dello scrittore e drammaturgo Sem Benelli.
Eletto in Parlamento per una lista indipendente, l’11 giugno 1924 Sem Benelli, che all’epoca era il drammaturgo italiano di maggior successo nel mondo, tiene un discorso infuocato contro l’orrendo omicidio di Giacomo Matteotti. E Mussolini si vendica: da quel momento la vita, la fama, l’opera di Benelli saranno sotto attacco. Le sue opere sono boicottate dalla stampa di regime, le sue prime sono oggetto di contestazione da parte di fascisti scalmanati, espressamente inviati dal Ministero della Propaganda. Da ricco che era diventato, Benelli torna povero. A 52 anni si arruola “volontario” per la guerra d’Etiopia, per rendersi più gradito al regime.
Le parole che Benelli pronunciò nel 1947 a Prato, in occasione della rappresentazione del suo dramma Paura, hanno introdotto il folto pubblico presente ieri sera al Cen.Ser. nel cuore di un’Italia orrenda e terribile, che all’epoca dei fatti non sembrava accorgersi di esserlo:
«Sono tanti anni che mancavo dalla mia città, rappresento un’opera mia nuova: “Paura”. Parla di me, della paura che tutti quelli a cui il passato regime non andava bene hanno dovuto subire. Parla per tutti coloro che hanno dovuto sempre ingoiare amaro, che si sono visti scippare le aspirazioni e le speranze».
E sempre di Benelli sono le parole che Antonella Questa e Luca Scarlini hanno scelto come epilogo della sua vicenda:
«Il fascismo non permetteva di emergere a chi gli era contrario. Io non volli adattarmi, mi illudevo che il fascismo potesse durar poco: invece durò più di vent’anni. Pare ieri che toccò le più alte vette dell’entusiasmo generale; ma io sempre sperando nella sua fine, mi ostinai; e così ora che l’Italia è libera sono ignoto e per giunta ammalato… Sono ammalato di paura, paura di pubblicare quello che ho scritto nel tempo fascista e che il fascismo non mi avrebbe permesso di pubblicare».
Lo spettacolo porta sulla scena, insieme a Benelli, tutti gli altri personaggi della vicenda, introdotti da Luca Scarlini nel ruolo di narratore onnisciente e interpretati con varietà di accenti e di umori da Antonella Questa. A cominciare da Benito Mussolini, la cui volgarità è pari alla perfidia di romanziere fallito, improbabile poeta e attore come Nerone, che sabotando Benelli impose al mondo dell’arte il suo potere feroce; per proseguire con Amerigo Dumini, capo mai pentito, e impunito, della squadra fascista che sequestrò e uccise Matteotti; infine, Giovacchino Forzano, straordinario librettista per Puccini, ma nel contempo, per avidità e opportunismo, autore per il Duce di testi discutibili quanto mediocri.
Sullo sfondo, un’Italia intrisa di retorica machista e misogina, dove il ruolo della donna è ridotto a mera fattrice di figli della patria, come nei grotteschi spot pubblicitari con cui Questa e Scarlini fanno il verso alla propaganda fascista: la Pasta Balilla; il Dentifricio Robur; Dura Lex, il corso di laurea fallica per corrispondenza; la “campagna per la bellicizzazione radicale del maschio medio italiano inetto”, che può alla bisogna contare anche sul pillolo Benito Virilon, contro la timidezza, l’impotenza e l’omosessualità. È l’Italia del Codice Rocco, del delitto d’onore, dello stupro come strumento di tortura autorizzato e incentivato: un Paese di intellettuali messi alla gogna e di folle oceaniche di sostenitori, simpatizzanti e sodali pronti a seguire ogni capriccio del «figlio del secolo».
Un Paese da cui guardarsi e che non deve tornare, come già avvertiva Sem Benelli nel suo discorso in Parlamento: «Indegno è il desiderio di un uomo solo di farsi imperatore e tiranno. Terribile è la cecità degli uomini che non capiscono in che abisso precipitiamo. Pietà per l’Italia martoriata, pietà per Giacomo Matteotti e la sua famiglia, gli anni prossimi saranno terribili come quelli, di piombo e sangue, che viviamo oggi».
Musikè è una rassegna promossa e organizzata dalla
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Programmazione artistica e coordinamento
Alessandro Zattarin