“IL VIOLINISTA SUL TETTO” spettacolo musicale e teatrale rappresentato al Teatro Nuovo a Milano alcuni anni fa. Per gli altri appuntamenti teatrali con Moni Ovadia consultare il sito https://www.moniovadia.net/it/
Recensione di LAURA TUSSI
Moni Ovadia mi ha fatto un dono bellissimo: di invitarmi a trovarlo a teatro e a diventare spettatrice e coinvolgermi in questa sua importante creazione di interpretazione artistica e eclettica e quasi fantasiosa e fantasmagorica come attore e abile istrione e interprete e di pormi come attenta ascoltatrice e spettatrice in questo progetto molto importante e musicale e artistico che ho apprezzato molto, tanto da scriverne una recensione, come Moni Ovadia desiderava e si aspettava da me.
Ricordo che mi fece dono del biglietto di ingresso a teatro perché volevamo incontrarci da buoni amici e soprattutto voleva trasmettermi i contenuti e gli ideali e i risvolti culturali di questo musical e spettacolo culturale di carattere storico e di impegno sociale e di denuncia contro le dittature di ogni spazio e tempo, e a questa opera musicale ancora adesso Moni Ovadia è molto affezionato.
Rappresentato e messo in scena in Italia dal genio artistico ed eclettico di Moni Ovadia, questo “musical impegnato” dal titolo “Il violinista sul tetto”, un genere prima ad ora non conosciuto in Italia, la cui vicenda è tratta da una delle storie dello scrittore ebraico Shalom Aleichem, grazie alle musiche di Jerry Bock e alla riduzione teatrale di Stein, lo spettacolo è un grande e poetico e commovente affresco della storia di una piccola comunità ebraica nella Russia prerivoluzionaria, prima della Rivoluzione d’Ottobre, in pieno clima di sottomissione imposto dalla dittatura zarista. Il musical nasce vive e germina nel contesto particolare della persecuzione zarista, violenta e oscurantista e che imponeva una tragica sottomissione del popolo e che ha anche cancellato ed estinto il popolo Yddish, procurando la morte a migliaia di persone e le emigrazioni dei popoli sfiancati dalla miseria e dalla fame. In seguito il nazismo ha impartito il colpo finale alla distruzione di una cultura pulsante, viva e profonda che predicava la pace e una società aperta senza odio e senza guerra e violenza.
L’ambientazione si svolge in un piccolo villaggio della Russia zarista all’inizio del secolo. Il clima della scena proietta già l’ombra spettrale dei tragici eventi dell’ottobre rosso. Teyye (Moni Ovadia) è un lattaio, padre di tre figlie in età da marito, secondo le tradizioni, le regole e le norme con cui egli stesso è cresciuto e di cui è un fervente osservatore. Ma Teyye, uomo legato ai suoi riti ebraici, che non considera leggi, ma tradizione e costume, soccomberà alle trasformazioni politiche e sociali imminenti, così permetterà alle figlie di vivere l’amore vero e di prendere strade diverse, diventando così “l’antifondamentalista”, egli metterà da parte la cultura di appartenenza in nome dell’umanità, concetto e valore più importante e più forte di ogni norma, in favore dell’apertura mentale e di pensiero e di una nuova cultura fondata sulla pace e la libertà soprattutto delle singole persone e della società intera e dell’umanità nel suo complesso. Teyye dimostrerà al massimo la sua apertura di mente e di idee rispetto alle costrizioni dettate da regole, norme e tabù, quando permetterà a una delle sue figlie di sposare un uomo di provenienza russa, che per gli ebrei rappresenta il popolo sterminatore e assassino.
Per Teyye è la catastrofe, ma alla fine benedirà anche questo matrimonio.
Teyye è anche il violinista e il musicista narratore di storie fantastiche dei sogni del villaggio intero che si augurava sommessamente che ogni piccola comunità di ebrei avesse un violinista che la notte suonasse sul tetto le melodie dei sogni di tutta la gente. Per portare e donare la pace all’intera umanità con il superamento dei tabù e delle tradizioni rigide e imposte e con la cultura e soprattutto con la musica di liberazione dal male del mondo.