“Spesso siamo troppo impegnati per ricordarci che siamo stati chiamati su questa terra per la sacra danza della vita. “Vesuvia” mi ricorda di danzare e di cercare di rendere la mia danza contagiosa”. Con queste parole Meg, all’anagrafe di Napoli Maria Di Donna, cinquanta primavere di singolare bellezza, annunciava nel settembre del 2022 l’uscita del suo ultimo lavoro discografico dal titolo “Vesuvia” (Asian Fake/Sony Music), presentato stasera al Monk di Roma, che ha accolto la rappresentante più esimia dell’elettronica italiana con un calore che di certo non le ha fatto rimpiangere quello partenopeo di appartenenza. Accompagnata dall’eccelso Marco Fugazza, Meg approda sul palcoscenico capitolino fasciata da una tunica ebano con cappuccio che dopo non molto lascerà il posto al suo opposto, un abitino bianco quasi da educanda squarciato solo da un paio di zeppe nere sulle quali l’artista volteggia leggiadra sulle note coinvolgenti di “Vesuvia”, la sua ultima creatura che altro non è che lei: dodici tracce, che all’interno del disco hanno visto i feat. di Elisa, Emma, Thru Collected, Nziria e Katia Labèque, raccontano l’essenza della voce storica dei 99 Posse che negli anni ha saputo fregiarsi e mantenere un’identità dai contorni impossibili da scalfire, abbracciando un elettropop che fa fatica a rimanere ingabbiato nella sua definizione; le distorsioni e i sintetizzatori non commettono mai il peccato madornale di sopprimere le emozioni sprigionate dai testi di Meg, attuali oggi come trent’anni fa, nei quali la voce inconfondibile dell’artista canta di libertà, magia, sogno, affrancamento, paura, vergogna, sprofondamento e passione scegliendo ogni sillaba con cura maniacale. Sul palco è essenziale Meg, poca retorica, molta emozione: “Vesuvia” è un disco intimo, che la pandemia aveva congelato e che ora finalmente, da blocco di ghiaccio duro, ha potuto sciogliersi per inondare il mondo di acqua e nutrimento, ciò che la musica preziosa di Meg, cantata e accarezzata dalla sua voce penetrante e cristallina, rappresenta in un mercato discografico italico oggi in larga parte sterile, modaiolo e fugace. I pezzi nuovi non possono non essere intervallati da colonne quali “È troppo facile”, “Sfumature”, “Quello che” (magnificamente intonata dal coro a cappella “Le Mani Avanti” in mezzo al pubblico), fino, naturalmente, all’ipnotica “Distante”, un brano-icona capace di far cantare assieme almeno tre generazioni diverse che, per citare l’artista, hanno ascoltato suoni inediti e dolci per non soffrire, almeno per i novanta minuti di splendore live di stasera. In Meg convivono meravigliosamente molte anime, fra cui una che rimanda ad una mamma del Sud calorosa e carnale, accogliente, materna e terrena e l’altra metafisica, che la fa elevare dal palco e volare sospesa nei meandri di una discoteca emozionale caleidoscopica ma mai alienante. La chiusura del live non può che essere affidata alla traccia che conclude l’album, “Grazie”, e risulta facile impossessarsi del verso che recita “Grazie […] perché mi fai venire voglia di cantare ancora”: grazie a Meg per essere rimasta sempre uguale a sé stessa e sempre cangiante, sempre coerente e sempre mutevole, sempre preziosa e per sempre unica.
Francesca Amodio