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“Halloween” è il singolo d’esordio di una band che in realtà sembra celare alle spalle un percorso silenzioso di ricerca e consapevolezza, maturato nel tempo: quando si scopre che per i Dena Barrett quello di qualche settimana è stato un debutto si rimane un po’ interdetti di fronte alla sicurezza d’impianto di una proposta, finalmente, concreta.

Sound da veri rocker ma con la venatura nostalgica di chi sa sentirsi addosso “la maledizione”, con tutta la sua dose di poesia; un romanticismo scapigliato che si arrotola su una cavalcata gentilmente distorta, senza interferire con una forma canzone cantautorale che si lascia avvertire e ad apprezzare nell’infuriare della tempesta sonora che le si scatena alle spalle: questa è “Halloween”, un inno alla liberazione dalle sovrastrutture e dagli obblighi che la società ci imprime addosso, come marchi incandescenti. 

Un lavoro che meritava, certamente, il tempo di una chiacchierata. 

Bentrovati su MEI, Dena Barrett! Allora, tre aggettivi per descrivervi che sappiano sintetizzare il vostro credo e invogliare i nostri lettori ad ascoltare “Halloween”, il vostro primo singolo prodotto da Andrea Pachetti.

Oddio ma è difficilissimo…mmm…Riflessivi, irrequieti, determinati.

Un esordio, questo, che certamente aspettavate da un po’: ci fate un riassunto della vita dei Dena Barrett? Insomma, raccontateci un po’ di voi…

Siamo Tommaso (voce), Elia (chitarra), Marco (basso) e Michel (batteria) quattro ragazzi cresciuti, bene o male, da Viareggio, anche artisticamente. Tutti con già alle spalle una storia fatta di dischi e concerti con altri progetti, ma nel 2020 abbiamo deciso di scriverne una  nostra personale, sotto un unico nome: Dena Barrett, una storpiatura del nome del personaggio interpretato da Sigourney Weaver in Gosthbuster, in omaggio alla forte passione comune per i film anni ’80. Per sentirsi una persona sola, una singola entità 

Il rock, oggi, sembra essere un linguaggio difficile da rigenerare, forse perché saturo di proposte spesso “devianti” rispetto alla matrice di un genere che necessita ora più che mai di affrancarsi da sé stesso. Che cosa significa, per voi, questa parola così “bistrattata” da band e addetti al settore, la parola “rock”?

Abbiamo la sensazione che Rock negli ultimi anni abbia assunto un po’ una patina che rende la parola accostabile a qualcosa di passato, di stantio, di scomodo. Forse perché come dici tu è stata veramente bistrattata. Ed è lo stesso che succederà alla parola punk che viene ad esempio sempre più usata per definire la band Y o il concorrente Z che partecipa al talent show di turno. Detto questo sicuramente la parola Rock cela in se ancora la propria matrice rivoluzionaria che ci piace pensare sia sempre lì pronta a mordere. 

“Halloween”, in effetti, è una bella cavalcata in stile Novanta: un brano che cela una sua attitude punk nel descrivere il dolore di una generazione in cerca di sé stessa, di un posto da chiamare casa. Parlateci un po’ del brano, e del perché avete scelto proprio questa canzone per presentarvi al grande pubblico. 

Hai detto bene, il testo della canzone si regge su questa sensazione di inadeguatezza che abbiamo sentito molte volte appartenerci. L’attitudine punk c’è ed è in qualche modo legata anche al fatto che il testo della canzone nasce d’istinto, dalle note scritte sul cellulare dopo una notte di Halloween. L’abbiamo scelta perché in questo brano c’è un rimando a tutte le nostre sfaccettature, sia a livello di sound che a livello testuale. È quella che in qualche modo ci racconta meglio e quella che, banalmente, si presta ad essere percepita come singolo rispetto ad altre che al momento se ne stanno ancora dentro al disco

Tra i temi che emergono in modo più o meno diretto, c’è anche quello del lavoro e della frustrazione che deriva dal non considerare spesso realizzabili le ambizioni per le quali si ha studiato. Quali credete che siano le problematiche più esacerbate della vostra generazione?

Comunque ne hai dato un’ottima lettura, forse quella più importante che speravamo venisse fuori. Noi siamo nati negli anni 90 e crediamo che la più evidente sia la grande perdita di fiducia verso il futuro. Il sistema neoliberista nel quale viviamo ci dice che più ti impegni e più avrai. Questa è la grande menzogna che vediamo svelarsi quotidianamente. Il mito del successo e della perfezione, oltre ad essere una chimera, può creare ansia e disagio in molti di noi, per questo nel testo diciamo “In ritardo da sempre per sentirsi vivi/col rischio di arrivare sempre ultimo, ma a me piace restare e sentirmi l’ultimo” che è un po’ un elogio della sconfitta, un grido per liberarsi dalla pressione costante dell’aspettativa. Siamo esseri finiti e frangibili, non avere successo è molto più umano che averne. Essere imperfetti, non avere voglia di lavorare sempre, non essere ricchi e possedere oggetti da ostentare è una cosa normalissima e dovremmo sentirci a proprio agio con questo e non trovare un modo a tutti i costi per evitarlo. 

Sentirsi “diversi” è una condanna, ma può anche essere uno stimolo: come vivono oggi la propria diversità i Dena Barrett?

Crediamo che la diversità sia per definizione relativa. Esiste in varie forme e dipende sempre dal contesto. La diversità che raccontiamo noi in Halloween è quella generazionale. È sentire un distacco profondo da una società (ma anche da una famiglia) e da figure istituzionali vecchie, che portano avanti una visione di mondo che non ci appartiene. Credo esista un problema di comunicazione enorme tra noi e i nostri padri, tra chi guida il Paese e chi lo abita. Forse è la storia più vecchia del mondo, ma ora i contesti cambiano molto velocemente rispetto anche solo a 30 anni fa e quindi il problema dell’incomunicabilità si fa sempre più ampio. La difficoltà di essere capiti la esprimiamo nell’immagine del ritornello “Volevo scrivere una canzone drammatica, seria e impegnata, ma tu a metà già ridevi e dicevi che la cantavo stonata”. Se vogliamo rendere concreta e attuale questa situazione basta pensare a come viene affrontato il problema del cambiamento climatico: da una parte c’è chi fa di tutto per evidenziare che c’è qualcosa che non va e la risposta da chi avrebbe i mezzi per risolverlo è quella di minimizzare o fare finta di niente.

Consigliateci un libro, un film e un disco che vi piacciono tanto, ma proprio tanto. 

Così senza spiegazione: “Works”di Vitaliano Trevisan, “La casa di Jack” di Lars Von Trier e “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars” di David Bowie. Grazie mille per questa stimolante chiacchierata e, speriamo, a presto!