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Un nuovo Ep per Massimiliano Martelli dal titolo evocativo “Quanto pesa la felicità”, pulito, di acqua e sapone, leggero nel suo songwriting che sposa abilmente l’elettronica moderna mescolate a belle soluzioni di chitarra acustica, diremmo un bel fingerstyle anche. Il valore della felicità, ma anche il valore della vita nel suo essere assai semplice quanto basta, quanto occorre per realizzare un lavoro come questo che sprigiona verità e delicatezza. Noi come sempre ci avviciniamo per saperne di più…

Un disco nuovo dentro cui leggo viva una critica sociale. Si torna all’uomo… o sbaglio?

Viviamo tempi in cui sembra sempre più difficile una comunicazione efficace fra le persone.

Si è sempre così pronti a difendere e sostenere le proprie ragioni e c’è sempre meno voglia e attenzione all’ascolto delle ragioni altrui. C’è sempre meno tempo e disponibilità al dialogo, all’incontro con l’altro, alla gestione dei conflitti, delle differenze e delle divisioni, in un’ottica di raggiungimento di un punto di comune accordo da cui partire o ripartire, insieme…

Dunque, più che l’uomo, è l’umanità che dovrebbe tornare centrale nelle piccole e grandi scelte di tutti i giorni. E invece non di rado la stessa società ci trasmette o vende una immagine di “io senza noi” come modello vincente da seguire, un’idea di benessere legata all’aspetto più materiale della realizzazione personale, e che pure non di rado non ammette debolezze o fallimenti, che invece fanno parte del normale processo di crescita di ciascuno di noi.

E il pericolo è proprio quello che concentrandosi troppo sull’individuo, per non sbagliare i propri obiettivi, le esigenze dell’altro/a vengano messe in secondo piano.

Ecco, le canzoni del mio nuovo disco, in particolare, nascono anche ma non esclusivamente da queste riflessioni. Proprio quando i rapporti e le esperienze umane, non solo l’amore dunque, faticano e smettono di essere coltivati, curati e praticati nei loro fondamentali.

Nel video di “Crescere” ad esempio… l’evasione da una parte, il burattino con i fili dall’altra. Almeno così mi piace leggerlo… che ne pensi?

Il testo di “Crescere”, per quanto una canzone possa fare, mette in luce alcune problematiche e inciampi che vengono a crearsi in un rapporto di coppia in crisi, dove la chimica e l’attrazione fisica più non bastano a far funzionare le cose. Ed ecco allora che improvvisamente ci si sente soffocare, si cerca una via d’uscita, si preferisce l’evasione al confronto.

Addirittura ci si sente legati, imbrigliati, a fili proprio come il burattino del video che hai citato…

C’è nei due protagonisti il rifiuto, la paura di condividere questo malessere, cercando rifugio nei propri egoismi, anziché far fronte unico alle proprie debolezze così come dovrebbe sempre accadere in un progetto comune di vita insieme… 

Si cerca o si sceglie la via più vigliacca a quella più difficile. Volevo però che nella canzone fosse presente anche una sorta di segno di speranza per questa coppia in difficoltà, per un possibile futuro ancora in due, e cioè la consapevolezza che in fondo nei loro cuori si conservi ancora intatto tutto quello che servirà per tornare a crescere.

Ti fa paura il futuro?

Mi fa paura nella misura giusta. Nel senso che vivo più o meno pienamente il mio presente cercando di consolidare ciò che ho già raggiunto e mettendo nuove basi per quello che vorrei nei miei domani. So che comunque il futuro non dipenderà esclusivamente dalle mie aspettative e scelte.

Ecco, forse più che la paura del futuro in sé c’è la paura di non averlo un futuro, perché non sempre a tutti viene concessa questa fortuna… Questo l’ho imparato e sperimentato nella mia lunga attività lavorativa precedente, come operatore sociosanitario al servizio di persone fragili in contesti difficili delle periferie della mia città, Roma, dove davvero “futuro” a volte sembrava essere una parola vuota, lontana, priva di senso, perché si era troppo impegnati in una battaglia di sopravvivenza quotidiana, a lottare in un presente fatto di costanti emergenze socioeconomiche oltre che sanitarie.

Mi fa paura un futuro come quello che descriveva lucidamente già cinquant’anni fa Italo Calvino nell’episodio di Leonia (Le città invisibili), metropoli dove il consumo sfrenato ha reso indifferenti i suoi abitanti al problema delle tonnellate di spazzatura prodotta continuamente: a loro bastava semplicemente che gli spazzini la rimuovessero perché questo non diventasse più un loro pensiero o problema; non importava poi dove questa finisse, l’importante è che non fosse sotto i loro occhi… Ecco, a me spaventa questo tipo di futuro: non l’innovazione e il progresso tecnologico ma che tutto questo, assieme al consumismo, possa lasciare indietro le persone, possa mettere l’umanità ancora più in periferia e renderci cattivi, cinici, indifferenti… Purtroppo mi rendo conto che questo tipo di futuro è già buona parte del nostro presente.

E in un disco di canzone d’autore assai ancorato a classicismi, che peso e che spazio ha il futuro?

Carlo Levi scriveva che il futuro ha un cuore antico. Io credo che in ogni molecola di futuro debba esserci sempre traccia, memoria, di ciò che è stato, un DNA di ciò che ha ci portato fino a quel punto, fino a tutto questo, nel bene e nel male.

Ciò detto, sicuramente ci sono dischi, opere più in generale, che hanno precisi riferimenti al futuro, un richiamo più netto, più significativo.

Io credo semplicemente che nel mio caso, in questo mio disco nuovo, sia più corretto dire che il futuro abbia un peso e uno spazio che verranno “quantificati” dall’esperienza di vita, dall’immaginazione e dalla fantasia di chi l’ascolterà, non solo da me che sono il suo autore. Ognuno ascoltandolo ne assocerà un peso ed uno spazio “personali” riconoscendoci dentro momenti suoi passati e presenti ma anche, ed ecco il futuro, episodi e attimi che vivrà personalmente o indirettamente e per i quali, dunque, le mie parole e note spero funzioneranno come richiami.

Il tempo è un elemento che torna anche. Un elemento da cui non possiamo prescindere… che tempo c’è oggi e che tempo vuole questo nuovo disco?

Oggi, come dicevo all’inizio, c’è un tempo difficile, che spesso ci incattivisce, che ci vuole più veloci, frettolosi, e così di conseguenza più inclini ad essere distratti verso le altre persone e cose.

Forse il tempo che vuole e che cerca questo mio nuovo disco è un “tempo di pace”, nel senso che si auspica che ciascuno di noi possa cercare di allungare il proprio tempo piuttosto che accorciarlo, di svuotare piuttosto che riempire, per quanto questo sia difficile da mettere in pratica… 

Più egoisticamente (ma non troppo, perché legato al concetto che ho appena esposto) ti risponderei che questo mio nuovo disco semplicemente vorrebbe, vuole, il tempo “giusto” per il suo ascolto, non un tempo tiranno o distratto. Spero sempre che queste mie parole e note possano lasciare un qualche segno, una traccia, in chi le incontrerà. E perché per me fare musica è dare ai miei piedi un’altra direzione e un altro viaggio da cominciare.

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