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Disco politico? Si ma nel senso ampio e romantico del termine. Si intitola “La farmacia potrebbe anche non esserci” il nuovo disco dell’attore e cantautore Luca Maciacchini, lui che da Gaber a Nanni Svampa ha un curriculum decisamente poco facile da riassumere in poche righe. Disco di teatro canzone dunque, di uno stile classico che non trova eguali nelle ramificazioni moderne… come se un certo modo di fare canzone, di locande e aneddoti “stornellati”, facciano parte di una storia che resta intonsa nel tempo e non si evolvano. Eppure i suoni di Maciacchini sono tutt’altro che antichi… eppure le sue storie, che passano anche dentro forme di pura canzone d’autore, sono tutt’altro che antiche. C’è la politica, in senso critico e sociale del termine. Nel senso che questo è un disco di uomini e non di bandiere.

“Carta cambia”: ho come l’impressione che il andiamo avanti a noti adagi più che a prese di consapevolezza. Non è che anche la lamentela è un noto adagio comodo?

Può esserlo, certamente. Ma qui l’ottica è il “divertissement”, il tormentone che deve “restare”. E la chiave è ironica o comunque vorrebbe esserlo. Riguardo alla presa di consapevolezza, perché dici che non c’è ? Cosa manca a riguardo?

In questo disco ci sono tante dimensioni diverse. Dal pop al rock passando per la canzone d’autore degli anni ’70. Come mai? Che tipo di bisogno sta rispecchiando?

Mi fa piacere che lo si noti , perché la mia cura è quella di non “ripetermi”, ma anzi di diversificare il più possibile nell’ottica di una dinamica che non stanchi, all’interno di un percorso come può essere anche solo un album di canzoni. Del resto a me è sempre piaciuto “sperimentare”, per rispondere alla domanda sul “tipo di bisogno”, e a ogni pezzo cerco di dare la giusta veste perché ritengo l’aspetto musicale complementare al testo e non un semplice “supporto”. In questo caso ringrazio Marco Zappa, eccellente musicista svizzero che si è preso a cuore arrangiamenti, esecuzioni e registrazioni.

Ci parli di questa copertina? Forse indotti dal titolo ci viene comodo pensare ad una grafica ricavata da un microscopio… come fossero dei virus presi dal microscopio e poi ritoccati graficamente…

Ottima domanda! È opera dell’artista Cristina Bulgheroni, cui ho commissionato l’immagine semplicemente chiedendo “uno stile astratto”. Dopo avere ascoltato tutti i brani in anteprima, si è”sbizzarrita” con una composizione che potesse dare adito a diverse interpretazioni personali. Mi piace questa idea dei “tanti virus” ritoccati, che magari ci pervadono senza che ci possiamo fare nulla. Però al centro vi sono anche due elementi rossi intrecciati che “staccano”. Una speranza? Due elementi sani cui ci si può “aggrappare”? Chissà…..

Il teatro canzone vive e anche di buona salute direi. La figura di Gaber o Jannacci al tempo hanno fatto da apripista verso il grande pubblico. Qual è il vero target e la vera missione di una simile direzione artistica?

Si vuole parlare a gente che abbia,semplicemente,  voglia di pensare e ascoltare. Gaber e Jannacci lo hanno introdotto in Italia in un determinato momento e contesto storico. Ma è un genere che è sempre esistito. Vedi la Francia del cabaret di Aristide Bruant e la Germania di Bertolt Brecht e Kurt Weill. Che a loro volta erano “evoluzioni”, non invenzioni….

Dal vivo che cosa accade? Darai anche spazio ai monologhi e al teatro in senso stretto?

Certamente. Non prevedo una unica formula di presentazione del lavoro ma sarà sempre diverso a seconda del contesto. Una possibilità è quella di abbinare alcuni brani del maestro Gaber ai pezzi dell’album e alcuni monologhi introduttivi o che costituiscono storie a se, ma che fungano di supplemento alle canzoni. A seconda del tipo di pubblico e occasione, cambiano le modalità di proposta.

https://open.spotify.com/intl-it/album/3e98H08aH3Mxt35N3nE25h?si=292887380b2d4254