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Esce venerdì 6 giugno 2025 su tutte le piattaforme digitali (in distribuzione Believe Music Italy), il nuovo singolo di EMIT, alter ego musicale di Emanuele Conte.

 

“bianco”, tutto minuscolo, è un nuovo e atteso capitolo che si aggiunge alla personalissima autobiografia musicale del cantautore di Lodi e che segue la pubblicazione di “bacio”, singolo che  aveva segnato la fine dell’estate 2024. Oggi, invece, siamo qui,  all’inizio di quella del 2025, con questo nuovo pezzo che è anche un assaggio di un nuovo disco in uscita. “bianco” è un brano di una delicatezza sospesa data anche da sfumature lo-fi, costruisce un crescendo emotivo che colpisce, senza cedere mai alla tentazione di un pathos stucchevole, accompagna l’ascoltatore in un’introspezione intima: addentrandosi e descrivendo qualcosa che tutti hanno vissuto, almeno una volta. 

 

Ne abbiamo parlato con lui, di questo nuovo brano dalle atmosfere rarefatte, di provincia, lontano dal caos iper produttivo della città.

 

  • In Bianco” sembri voler dire tanto, ma scegli una forma rarefatta, quasi reticente. Non temi che questa sottrazione emotiva possa diventare un alibi per non esporsi davvero?
    Sicuramente sì, se fatta sempre. “bianco” è un caso particolare in cui ho deciso di non condizionare l’interpretazione di tutti con le associazioni da cui è nata. Anche per me alcune immagini hanno diverse chiavi di lettura, e come in un sogno nessuno può sapere con certezza da dove provengano le scene. Anzi mi sta piacendo molto scoprire cosa vedono le persone in questa canzone. L’astrazione non è bugia né omissione. Se no tante opere figurative sarebbero reticenti. L’importante è che la fonte sia autentica.
  • Il brano si muove in territori sonori molto contemporanei, ma anche molto frequentati. Cosa ti fa pensare che il tuo bianco” sia diverso da quello di tanti altri?
    Non credo di aver frequentato gli stessi territori di altri artisti per dare ispirazione a questi brani, sarebbe una coincidenza inverosimile, ma neanche pretendo che il risultato sia diverso. È solo quello che sentivo di creare.
  • C’è unestetica curata, minimale, che però rischia di congelare il sentimento. Come ti assicuri che lemozione resti viva e non venga sacrificata sullaltare dello stile?
    Bellissima domanda. Non riesco ad assicurarmene. Tendenzialmente ho una visione di come voglio comunicare e far apparire la musica e cerco di realizzare quella. Poi faccio parlare quello che si è realizzato e spero che emozioni.
  • Nel tuo progetto si percepisce una forte volontà di controllo, quasi una paura del disordine. Hai mai pensato che una crepa, una sbavatura, potesse raccontarti meglio?
    Assolutamente sì. È un equilibrio che forse devo ancora trovare, una paura ancora da sconfiggere. Soprattutto nella comunicazione social. Ma purtroppo non è il linguaggio di cui mi sono nutrito io crescendo e quindi non riesco sempre a comunicare in modo più spontaneo sulle piattaforme. Cosa che invece mi viene abbastanza facile dal vivo. Ci sto lavorando. Sicuramente voglio allentare questo modo di esprimermi in favore di uno più diretto e naturale, meno pensato.

Parli spesso di sottrazione, silenzio, vuoto. Ma cosa succede quando ti trovi davanti alleccesso, al caos, al rumore? La tua musica è in grado di reggerli o preferisce evitarli?
Non credo sia questione di reggerli o evitarli per me, ma piuttosto di accettarli quando appaiono nel processo o nelle situazioni. A volte li ho scelti io stesso come strumenti. Non li vado a cercare ma a volte mi fanno bene. Rimango un attimo spiazzato? Probabile, anche su questo posso lavorare.

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