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Quando un album riesce a catturare lo zeitgeist di un luogo e di un momento, smette di essere semplicemente un’opera solista e diventa il manifesto di una scena. È questo il caso del lavoro pubblicato lo scorso 24 ottobre per Irma Records. Più che il disco di un singolo artista (pur essendone lui il produttore e l’autore principale), quest’opera suona come la dichiarazione d’intenti di un collettivo culturale, la fotografia nitida della nuova scena creativa partenopea.

È un album corale, come dimostra l’elenco dei collaboratori (tra cui Gianmaria Salerno, Viscardi, Greg Rega): non semplici featuring, ma compagni di viaggio che condividono la stessa visione. E qual è questa visione? È quella di una generazione che ha assorbito le sonorità internazionali—il nu-jazz, il neo-soul, il funk—ma che rifiuta l’omologazione linguistica e tematica, rivendicando con forza la propria identità.

Il suono che ne emerge è ibrido e maturo. Non è più la Napoli che scimmiotta l’America, né quella ripiegata sul folklore. È un suono nuovo. Lo si capisce da “6 VESTUTO A 8”, un dialogo perfetto tra il flow dell’autore e la voce soul di Greg Rega. Non è un duetto, è una fusione; è il suono di una comunità artistica che si muove sulla stessa frequenza, creando un groove sofisticato per veicolare un messaggio sociale tagliente (la critica alla società dell’immagine).

Questa comunità condivide anche le stesse ansie. “L’ARTISTA IMPIEGATO” è, in questo senso, la traccia più emblematica. Sebbene autobiografica, racconta una condizione generazionale. È il manifesto di tutti i creativi precari di quella scena, costretti a destreggiarsi tra “due o tre fatiche” per poter campare d’arte. È la voce di un collettivo che lotta per la sopravvivenza in un sistema che premia l’apparenza (criticata in “6 VESTUTO A 8”) ma ignora la sostanza.

Ma questo collettivo è, soprattutto, politico. La rabbia che emerge dal beat hip-hop di “TERRA SANTA” non è individuale, è collettiva. È il “noi” di una generazione stanca degli stereotipi (“pizza e d’o sole”) che rivendica la propria storia complessa e onora i propri martiri civili (Giancarlo Siani). È un “noi” che si riconosce in una lingua comune: il napoletano.

La difesa della lingua nello skit “SENESE’S CODE” (che campiona James Senese) non è solo una scelta stilistica dell’artista; è il codice d’onore dell’intera scena. È la rivendicazione di un’autenticità che mette la musica e la cultura davanti alle logiche del mercato.

Quest’album, quindi, è molto più di un ottimo disco nu-soul. È la prova che la scena napoletana è viva, coesa e consapevole. È il suono di una comunità che ha trovato la sua voce e, finalmente, ha deciso di usarla.

 

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