Dal 2019, i Sordi si muovono tra funk, elettronica, groove e sperimentazioni più libere, creando un suono che non conosce confini e che mette al centro l’energia e l’ironia. Con l’uscita dell’album Shockini e del singolo Ansia Diva, il duo affronta le inquietudini della contemporaneità, l’ansia, le riflessioni su esperienze personali trasformate in concetti universali e una creatività che emerge da una vera e propria “lotta artistica”.
In questa intervista, i Sordi raccontano il processo creativo del disco, le sfide affrontate, il rapporto tra testo e musica e come hanno trasformato ansia, shock e riflessione in energia sonora.
Quali sono stati i momenti più complessi di questa “lotta creativa”, e come avete fatto a trasformare quei momenti in forza artistica anziché frustrazione? Il processo creativo dell’album è stato descritto come un wrestling creativo senza esclusione di colpi. Raccontateci le sfide maggiori e come le avete affrontate.
Probabilmente ciò che ha fatto sì che arrivassimo in fondo a questo viaggio sfiancante senza cedere alla frustrazione è stata l’urgenza che entrambi avevamo di dire le cose dette in questo disco. La ‘lotta’ non è mai stata semplice e traspare nell’energia di tutta la musica di SHOCKINI.
In che modo avete scelto quali esperienze o “shock” raccontare, e quali avete deciso di omettere? C’è qualcosa che avete dovuto mettere fuori perché troppo personale o difficile da musicalizzare? Il titolo Shockini nasce dalla somma di piccoli shock personali e artistici. Come avete deciso cosa raccontare nell’album?
Ogni brano è passato sempre al vaglio di quello che sinceramente volevamo dire. Prima di cominciare a scrivere ogni singola parola c’è sempre stato un confronto e una riflessione su quello di cui volevamo parlare. Nel disco non parliamo mai di esperienze personali. Semmai di tematiche su cui abbiamo riflettuto a seguito di esperienze personali. Quindi non abbiamo sentito l’esigenza di omettere qualcosa; quello che volevamo dire è lì ed è riportato nella forma e nel modo in cui volevamo dirlo.
Come avete gestito in studio o in fase di arrangiamento il passaggio da un’idea musicale all’accompagnamento testuale — c’è stato un brano dove l’arrangiamento vi ha fatto cambiare radicalmente il testo o viceversa? Pur non curandovi di una coerenza stilistica tra i brani, avete cercato coerenza tra parole e musica. Come si è sviluppato questo processo creativo?
Il passaggio dal testo alla musica è stato sempre un ping pong. A volte abbiamo cominciato da uno, altre volte dall’altra, senza un metodo preciso. Un brano in cui il testo ha subito più variazioni è Bunker. Inizialmente doveva essere un brano leggero con un featuring e un testo spensierato. Il destino ha voluto che il featuring non l’abbiamo fatto e che il testo che avevamo scritto non ci piaceva. Dopo aver già tutto il resto dell’album pronto, ci siamo rimessi al lavoro e abbiamo riscritto il testo da capo. Allo stesso modo, la musica di Bunker, dopo averla registrata, non ci convinceva fino in fondo. È stata quindi ulteriormente arrangiata in fase di mix, ampliando in particolare tutta la parte elettronica e di sintetizzatori.
Cosa significa per voi oggi “ansia” nella musica e nella vita, e come avete voluto che quel sentimento trovasse una forma sonora — ad esempio nella scelta di groove, timbri, silenzi o spazi sonori? Il singolo Ansia Diva esplora l’ansia della giovinezza adulta. Qual è il messaggio che volete comunicare attraverso questo brano?
L’ansia non è solo uno stato psico-fisico personale disagevole, ma anche una coperta morbida che non vediamo l’ora di sentirci addosso, una mamma che ti abbraccia strettissimo, tra le cui braccia rifugiarci nei momenti di difficoltà. Allo stesso tempo, l’ansia è diva perché imprescindibile dalla nostra quotidianità. Siamo così abituati all’ansia che non riusciamo più bene a distinguere dove finiamo noi e inizia lei. Nella strofa l’abbiamo voluta raccontare con un groove spezzato, sincopato, balbettante e nel ritornello con una festa: la celebrazione dell’ansia come la cosa più glamour del mondo.
Guardando indietro a questi anni di evoluzione, qual è la cosa che vi ha sorpreso di più del vostro sviluppo musicale, e quale “regola” (o convinzione) che avevate all’inizio avete invece abbandonato completamente? Il duo nasce nel 2019 senza vincoli stilistici, passando dal funk e groove a sperimentazioni più libere. Quali sono state le vostre principali scoperte artistiche?
La cosa più sorprendente è stata l’utilizzo della parola come veicolo di concetti non astratti. Potrà sembrare strano, ma prima di SHOCKINI per noi era importante usare la parola più per il suono che per il suo significato. Non abbiamo abbandonato nessuna regola o convinzione particolare. Ci piace giocare con le nuove spinte e strumenti che abbiamo e integrarli con quelli che c’erano già.


