Tra disciplina, resilienza e libertà: la cantautrice racconta il suo nuovo singolo e la forza che nasce dal dolore
Con il suo nuovo singolo “Fight Club”, la cantautrice spezzina Braska trasforma il ring in una potente metafora dell’esistenza. Il brano, ambientato nella palestra di famiglia, diventa simbolo di coraggio, rispetto e crescita personale.
L’artista, che unisce sonorità rap e drill con una scrittura diretta e cinematografica, porta la sua esperienza personale dentro la musica, raccontando la mentalità del fighter come una scuola di vita.
Dopo le tappe internazionali tra Rotterdam e Berlino e la pubblicazione del suo primo album “Rockstar 17”, Braska si conferma una delle voci più autentiche della nuova scena urban italiana.
“Fight Club” nasce da un ambiente molto personale, la tua palestra di famiglia. Quanto ha influito questo legame reale sulla scrittura del brano?
Tantissimo, sono stati due elementi che si sono intrecciati e influenzati a vicenda in tutto il corso della mia vita. Una decina di anni fa circa, avevo già realizzato un inno del “Fight Club”, a metà tra rock e hip-hop, cantandolo anche nei palazzetti prima dei galà di combattimento, che talvolta mi sono trovata a presentare. Era un prodotto che oggi ritengo più grezzo e incompleto, quindi avevo il desiderio di creare una nuova versione. Così nasce questo nuovo singolo, che considero la versione della maturità, con un messaggio chiaro da trasmettere e un vissuto in palestra da poter raccontare.
Nel testo il ring diventa una metafora della vita: quanto la disciplina sportiva ha formato anche la tua mentalità artistica?
Inevitabilmente il ring ti da una forma mentis improntata alla costanza e alla resilienza, insegna al tuo corpo e alla tua mente di sopportare il dolore e reagire, anche difendendosi, oltre che attaccando. Questa premessa non solo è fondamentale nella vita, ma anche nel mondo della musica, dove ci sono una moltitudine di artisti che si mettono in gioco: ciò che può davvero portarti a raggiungere un obiettivo, oltre al talento e alla fortuna, sono costanza e la dedizione.
Hai portato la tua musica su palchi internazionali, da Rotterdam a Berlino. Cosa ti ha insegnato confrontarti con un pubblico così diverso?
La cosa più bella è stata trovare un pubblico molto rispettoso, pronto ad ascoltarti e a comprendere il tuo linguaggio musicale nonostante le differenze linguistiche. Ad esempio, a Rotterdam sono stata invitata allo showcase New Skool Rules, dove ero l’unica artista italiana, e ciononostante sono riuscita a coinvolgere il pubblico anche sulle note di un brano italiano come “Tu mi hai visto così”. Soprattutto uscire dall’Italia e confrontarmi con un panorama musicale differente mi ha permesso di conoscere degli artisti internazionali emergenti davvero fenomenali, che inevitabilmente ti spingono a metterti in discussione e a voler migliorare sempre di più.
Con “Fight Club” lanci un messaggio di forza e rispetto. Quanto pensi che il rap oggi possa ancora essere uno strumento di consapevolezza sociale?
Il mondo del rap è decisamente cambiato negli ultimi decenni, soprattutto da un punto di vista contenutistico: siamo passati da testi di denuncia sociale a testi sicuramente più introspettivi, autoreferenziali e influenzati da un linguaggio anglofono, categoria in cui mi includo essendo parte della Gen Z. Tuttavia penso che ancora oggi ogni artista possa scegliere di fare la differenza in ciò che vuole trasmettere, la challenge è rendersi credibili quando si fanno degli statement. Io ho respirato da sempre l’ambiente dei fighting sports grazie all’attività di famiglia, e spero con la mia esperienza di poter regalare alle nuove generazioni un brano carico di significato e di motivazione.


