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Ironico nel titolo, sincero nel contenuto: Happy è il nuovo album di Mivergogno, un disco che scava nelle pieghe della felicità senza mai fingere di averla trovata. Nato in quello che l’artista definisce un “ottimo periodo di merda”, tra depressione, cambiamenti e bisogno di riscatto, il lavoro si muove tra punk rock e cantautorato, tra immediatezza e introspezione. Un racconto autentico, schietto e viscerale, dove la sincerità prende il posto della perfezione e ogni canzone diventa una piccola terapia per sopravvivere — con ironia, cuore e un filo di rumore — ai giorni storti.

Happy. Un titolo ironico per un disco che, in realtà, sembra esplorare tutto ciò che sta dietro — e dentro — la felicità. Cosa significa davvero “essere happy” per te, oggi?

Bella domanda! Nel mio disco non do una risposta a “cos’è la felicità? ” perché oggettivamente proprio non lo so, però forse so cosa significa essere davvero Happy, coniamo un nuovo termine… adesso, “essere Happy” non significa essere felici, significa, forse, essere positivi, credere sempre in un miglioramento, riuscire sempre a sorridere in modo sincero, io me lo immagino proprio come una giornata di sole che torna dopo tanto maltempo.

 Hai raccontato che questo album è nato in un “ottimo periodo di merda”. Ti va di spiegarci meglio, per quanto puoi, questo momento?

“Happy” ha preso forma nell’arco di un anno circa, sebbene alcuni brani, in forma embrionale, risalgono a qualche anno prima “l’ottimo periodo di merda” ha definito il tutto, un momento in cui alcuni fantasmi si sono rifatti vivi, la depressione ha sempre fatto parte della mia storia, già da ragazzino ne soffrivo, ma fortunatamente sono sempre riuscito ad avere una vita quasi serena  grazie alla terapia e ai farmaci, purtroppo in quel periodo diversi cambiamenti, tra cui lavoro, casa, città, mi hanno buttato giù, in “Happy” c’è sicuramente dolore, ma anche ripresa e amore. 

Rispetto al tuo lavoro precedente, FilippineHappy suona più diretto, più ruvido ma anche più consapevole. Cosa è cambiato?

Sinceramente non credo sia cambiato qualcosa, forse ho semplicemente voluto rendere il più possibile questo senso di immediatezza, di schiettezza, come si dice spesso “l’esigenza” di buttare fuori tutto d’un fiato, senza fronzoli, sia a livello musicale, infatti il disco è registrato chitarra acustica, elettrica, basso batteria e tastiera, senza troppe sovraincisioni, sia a livello di testo. Spesso dico che io scrivo esattamente come parlo, questo non per dire che nella mia quotidianità parlo in rime, sarebbe comico, ma solo per sottolineare l’immediatezza. 

 

Ogni traccia sembra rappresentare una tappa di un percorso personale, quasi una terapia. C’è una canzone che consideri il cuore del disco, quella che lo riassume o che ti ha fatto capire dove stavi andando?

Si, sicuramente “Banalità” è un po’ il cuore di questo album, è un pezzo che appunto banalmente si chiede cos’è la felicità, rendendosi poi conto di non saperlo e di non averla, per me è comunque un brano quasi rincuorante, come la voce di un amico.

 Il disco ha un’anima punk rock, ma allo stesso tempo c’è molto di cantautorale italiano classico. Come riesci a far convivere questi due lati di Mivergogno?

Fondamentalmente ho sempre ascoltato musica di gente che ha saputo fare brani spinti e brani morbidi, tristi o felici, non capisco molto le band o chi in generale in un progetto ha un solo mood, siamo fatti di emozioni che poi tramutiamo in musica, personalmente sono una persona che ama far baldoria, amo il volume, ma so anche apprezzare un minimo particolare di una qualsiasi cosa che attrae la mia attenzione e mi ispira per qualcosa che sappia di delicatezza. 

 Ci sono riferimenti visivi molto forti nel disco: immagini quotidiane, piccoli gesti, scene intime. Sei un autore che parte dalle parole o dai suoni quando inizia a costruire una canzone?

Dico sempre che il mio cervello è più intelligente di me, questo perché ogni singola canzone che ho scritto nasce da un pensiero che mi viene in mente, quello che vivo diventa nella mia testa musica e parole praticamente da subito, sicuramente le parole hanno la priorità nel processo di creazione di un brano, la musica è già lì sotto pronta ad accompagnare.

 Rispetto al Mivergogno di qualche anno fa, cosa pensi di aver imparato — e cosa invece continui a non capire per niente?

Sicuramente il Mivergogno di oggi ha capito che non deve mai e poi mai perdere di vista il motivo per cui scrive suona e canta, ovvero un amore e un’esigenza incondizionati, spesso chi ha un progetto rischia di perdersi e di abbattersi di fronte all’oceano di musica che c’è oggi sentendosi una goccia inutile e incompresa, il desiderio di fare numeri, di farcela, è il tallone d’Achille di ogni Artista, si rischia poi che dal tallone si prende tutta la gamba e li son cazzi. Quello che non capirò mai è come fanno certe persone che per tutta la vita han fatto musica di qualità, della vera e propria Arte, per poi scendere a compromessi, a focalizzarsi sui soldi, e accontentarsi di fare dei “tormentoni”. Io piuttosto andrei a fare il benzinaio. 

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