Vent’anni di viaggi, di piazze, di confini attraversati con la musica come bussola.
Con “D-SEGNI”, il nuovo concept album uscito il 24 ottobre (in digitale e in formato fisico vinile + libro), i Guappecartò tornano a raccontare il mondo con la loro sensibilità visionaria.
Un progetto che nasce da un’eredità artistica e affettiva — quella di Madeleine Fischer — e si trasforma in un percorso sonoro e visivo dove i confini tra vita e arte, luce e ombra, parola e suono si dissolvono.
L’album, anticipa il tour italiano che partirà l’11 novembre, portando sul palco un’esperienza che unisce musica, racconto e immagini.
questa conversazione, Mala e Braga, anima del progetto, ci raccontano come “D-SEGNI” sia diventato un atto d’amore e rinascita, tra memoria, spiritualità e libertà creativa.
“D-SEGNI” nasce da un’eredità artistica e affettiva, quella di Madeleine Fischer. In che modo la sua presenza invisibile ha influenzato il vostro modo di comporre e vivere la musica oggi?
Braga: Madeleine ha sempre spinto i Guappecartò a sfidare le convenzioni, musicali e non, ad andare oltre la “comodità artistica”, a stonare se necessario — e questo è esattamente quello che abbiamo fatto con “D-SEGNI”.
Mala: Per me Madeleine è molto di più di una presenza invisibile: è assolutamente viva e abita nel nostro album. Oggi più che mai, lei è qui con noi e comunica attraverso i suoi “segni”, come noi comunichiamo attraverso i nostri “suoni”, in totale libertà. “D-SEGNI” ne è la prova.
Nel disco si percepisce una tensione continua tra luce e ombra, vita e assenza, reale e immaginario. Come avete tradotto questi opposti nel vostro linguaggio sonoro e visivo — quel bianco e nero che vi rappresenta come Mala e Braga?
Braga: Il libro “Segni” di Madeleine, a cui ci siamo ispirati per “D-SEGNI”, è stato una fonte preziosa di idee e suggestioni musicali. Collegando questo materiale alla storia dei Guappecartò, è stato quasi naturale tradurre il concept che avevamo in mente — la circolarità del tempo, in cui la fine è un nuovo inizio — in musica e immagini.
Mala: Il libro era stampato in bianco e nero e in formato quadrato. Già solo questi due elementi ci suggerivano l’idea del gioco della Dama, l’alternanza tra luce e ombra, vita e morte. Nell’introduzione, Madeleine scriveva:
“Tanto è lo spazio occupato da questi segni, altrettanto quello lasciato vuoto. Se qualcuno vorrà occuparsi, come spazio bianco, tali segni avranno assolto la loro funzione rievocatrice, ricordando che la reversibilità creativo-ricettiva si fonde nel cerchio interno dell’essere.”
Io e Braga non abbiamo fatto altro che accogliere l’invito di Madeleine a giocare seriamente la nostra partita.
Dopo oltre vent’anni di percorso, dai marciapiedi di Perugia ai teatri d’Europa, “D-SEGNI” sembra segnare un ritorno alle origini, ma con nuova consapevolezza. Cosa significa per voi “rinascere” attraverso la musica?
Braga: Nel momento in cui i Guappecartò si stavano esaurendo nella forma in cui erano esistiti per vent’anni, siamo tornati a nuova vita grazie a una metamorfosi musicale: l’accettazione di un flusso in cui eravamo già immersi. Semplicemente, non ci siamo opposti. Ed ecco che il nostro ciclo ci ha riportati là dove tutto era cominciato — ma con una pelle diversa.
Mala: Rinascere per noi ha significato uccidere tutto il superfluo e concentrarsi sull’essenza.
Come all’inizio, ci siamo lasciati tutto alle spalle. Anche oggi abbiamo deciso di rilanciarci nel vuoto. È un nuovo giro di giostra.
Il disco esce anche in formato vinile e libro: una scelta che unisce ascolto e narrazione. Che ruolo ha la parola — scritta, letta, sussurrata — in un progetto così profondamente legato ai segni e ai simboli?
Braga: Con la narrazione presente nel libro volevamo dare a chi si immerge nel mondo di D-SEGNI tutte le coordinate necessarie per orientarsi dentro un lavoro dai molteplici aspetti: immagini, aforismi, storia del gruppo, concetti, musica…
Un’esperienza multisensoriale.
Mala: In effetti, il libro aiuta a capire il viaggio e quindi ad ascoltare il disco in modo diverso.
Con “D-SEGNI”, i Guappecartò non pubblicano solo un album: mettono in scena un dialogo tra visibile e invisibile, tra ciò che resta e ciò che cambia.
Un lavoro che nasce come omaggio, ma diventa un nuovo inizio.
Un invito ad ascoltare — davvero — i segni del mondo.


