Intervista esclusiva a una voce che trasforma il disorientamento in potenza creativa
In “DIENTES”, Muriel non canta solo una canzone: urla, sussurra e si libera.
Un brano che è allo stesso tempo confessione e catarsi, corpo e spirito, carne e suono.
Un viaggio tra bassline UK, ritmiche latine e introspezione feroce — un atto di verità che sfida ogni definizione.
L’artista, dopo un percorso che l’ha vista passare per una major e poi scegliere la piena indipendenza, racconta la sua rinascita creativa: un ritorno alle origini più intime della sua arte.
Abbiamo parlato con lei di identità, libertà e della necessità di restare sé stessi anche quando tutto spinge nella direzione opposta.
“DIENTES” è una confessione feroce, un grido viscerale dentro un corpo che non si riconosce più. Cosa ti ha spinta a mettere in musica questa perdita di identità — e quanto è stato doloroso o liberatorio farlo?
Da sempre trovo nella scrittura un modo semplice e genuino per evadere dalla realtà, per immedesimarmi in chi non sono ma anche per giustificare pensieri a volte estremi che mi girano dentro la testa.
Mi è capitato più volte di chiedermi se mi sentissi di appartenere davvero a questo posto, a questo corpo, a questo tempo.
La risposta è che non lo so e che probabilmente non mi interessa saperlo.
Dire ad alta voce certe cose può far paura, appesantire o, come nel mio caso, renderti più leggera.
È stato bello.
Il brano unisce una bass line UK e ritmiche latine pulsanti, tra club e introspezione. Come nasce questo mix sonoro così ibrido, e quanto rispecchia la tua vita tra culture e città diverse?
Il mio progetto, la mia visione artistica in generale, si contraddistinguono per l’assemblamento di generi e immaginari molto diversi tra loro ma comunque in grado di coesistere dentro quello che è a tutti gli effetti il mio mondo, frutto delle mie esperienze.
Le nottate nei club di Berlino, gli anni passati in Spagna, le jam session nelle warehouse londinesi, i dischi dei Radiohead in compagnia di mio padre mentre balliamo in salotto.
Ogni suono, ogni momento, sono insiti dentro di me e mi definiscono non solo come persona, ma anche come artista.
Dopo l’esperienza con una major, hai scelto la via indipendente. Quanto conta oggi per te il controllo totale sul tuo progetto — e quanto coraggio serve per restare autentici in un sistema che spesso addomestica le voci libere?
Credo non vi sia cosa più importante, per lo meno per quanto mi riguarda.
Sono grata ad ogni mia esperienza, mi ha fatto crescere e capire chi sono, chi voglio essere e cosa non condivido.
Ma è la mia musica, la mia voce, la mia faccia.
E dunque sono io a doverne avere il pieno controllo, nessun altro.
Non si tratta di coraggio, si tratta di esigenza.
Vi sono artisti che ne sentono il bisogno, altri no — e questo non li rende migliori, più meritevoli o più studiati.
L’arte è libera ed ognuno la vive come meglio crede.
A me piace farlo così. Nessuna certezza, pochissimi aiuti, ma totale padronanza di ciò che mi appartiene.
“DIENTES” è fuori ora su tutte le piattaforme digitali.
Un grido liberatorio, un atto d’amore verso l’arte e verso sé stessi.


