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In un panorama musicale sempre più frenetico e omologato, gli Elephant Brain scelgono di restare fedeli alla propria idea di libertà artistica.
Con Almeno per ora, la band si muove tra il linguaggio del midwest emo e la tradizione cantautorale italiana, raccontando la paura, la perdita e la resistenza con uno sguardo lucido e umano.
Un disco che invita a rallentare, a concedersi tempo, a vivere la musica come spazio di autenticità.


INTERVISTA

“Almeno per ora” sembra una dichiarazione di indipendenza emotiva e artistica. In un panorama sempre più omologato, cosa significa per voi rimanere autenticamente “indie”?

Suoniamo principalmente quello che ci va e che ci piacerebbe ascoltare se ci trovassimo ad un concerto. Non sappiamo se questo è “indie” o è semplicemente il fare musica nel modo più spontaneo possibile. Ci piace pensare che fare musica sia un po’ questo, una sorta di “onestà musicale” con sé stessi e con i propri ascoltatori.


La vostra scrittura ha radici nel midwest emo ma parla un linguaggio molto italiano. Quanto conta per voi portare questa identità dentro una scena che sta cercando nuovi codici di racconto?

Siamo cinque persone abbastanza diverse con i gusti musicali più disparati, ma se c’è un terreno comune è quello del midwest emo, per chi più e per chi meno. Le influenze midwest ci sono in tutti i nostri dischi e azzarderemmo a dire che sempre ci saranno in qualche forma, ci viene naturale mettercele in mezzo perché banalmente è la musica che ci piace.


Collaborare con i Voina in “Benedici” segna un incrocio generazionale dell’underground. C’è ancora un senso di comunità tra le band, o ognuno combatte la propria battaglia?

Noi crediamo di sì. I Voina sono degli amici, condividiamo con loro quello che è lo spirito del DIY, del circondarsi di persone e creare una comunità tra band, una scena (se così si può ancora chiamare). Sicuramente la battaglia la si combatte insieme.


Il disco parla di paura, perdita, resistenza. In un mondo dove la velocità schiaccia la profondità, quanto è rivoluzionario prendersi il tempo per restare — almeno per ora?

Non siamo noi i primi e spero non saremo gli ultimi a dire che probabilmente il tempo è il bene più prezioso al mondo. Per come noi cinque stiamo vivendo la musica oggi probabilmente il tempo rappresenta proprio il vero “game changer”.
Sicuramente è sempre più difficile prendersi del tempo, che sia per scrivere, per suonare come anche per staccare un po’ da tutto. Noi comunque vogliamo pensare che “prendersi del tempo” sia una cosa normale, un diritto dovuto, perché è nel momento in cui ci prendiamo del tempo che poi capiamo cosa vogliamo da noi stessi e forse anche dalla nostra musica.

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