Con “Stammi vicino”, gli aabu aprono le porte a un suono nuovo, fatto di elettronica, ma senza rinunciare al calore degli strumenti acustici. È un disco che parla di casa, di radici, di legami, anche quando sembra smarrirsi tra tempeste e disgelate. La scrittura rimane centrata sulla canzone, ma gli arrangiamenti raccontano un desiderio di esplorazione. Il risultato è un lavoro sincero, umano, capace di accompagnare l’ascoltatore in un viaggio che somiglia a una conversazione intima. Ecco l’intervista che hanno rilasciato a noi del MEI!
Nei vostri dischi precedenti il sound era più minimale e chitarristico, ora invece abbracciate elettronica e arrangiamenti stratificati. Quando avete sentito la necessità di questa trasformazione?
Il nostro percorso è sempre stato guidato dalla voglia di esplorare.
Ci sono stati momenti dominati dalla distorsione e dal graffio delle chitarre, altri in cui il virtuosismo strumentale ha preso il sopravvento.
Ma sentivamo che era arrivato il momento di fare un passo oltre.
Oggi abbiamo bisogno di essere più diretti e immediati, come il battito ipnotico di una cassa in 4/4, ma al tempo stesso complessi, come la mappa infinita di possibilità che la musica elettronica ci mette davanti.
In qualche modo, l’elettronica è diventata il simbolo del nostro passaggio a una fase più “adulta” della nostra carriera.
Le sue sonorità sono quelle che in questo momento risuonano meglio con le nostre vibrazioni, con il nostro modo di sentire la musica e, in fondo, anche con quello che siamo diventati.
Quali sono stati i riferimenti musicali che vi hanno guidato in questa evoluzione?
Non abbiamo mai avuto riferimenti troppo rigidi o dichiarati: ci piace lasciarci sorprendere, prendere ispirazione anche da mondi lontani, sia musicalmente che geograficamente.
Se però dobbiamo citare degli artisti che hanno lasciato un segno nel nostro percorso recente, sicuramente diremmo Manchester Orchestra, Bonobo, Monolink e RY X.
Ognuno di loro, a modo suo, ci ha insegnato qualcosa: dall’intensità emotiva alla ricerca di atmosfere immersive, fino alla capacità di fondere organicità e suono elettronico senza perdere identità.
La title track, “Stammi Vicino”, è costruita con un tessuto elettronico molto denso. Come avete lavorato a livello di produzione?
Negli ultimi anni il nostro modo di fare musica è cambiato radicalmente. Oggi lavoriamo con synth analogici, sampler, drum machine e computer: strumenti che ci hanno portato ad abbandonare in parte le classiche prove in sala, sostituendole con lunghe sessioni di ricerca sonora, a volte quasi ossessiva.
“Stammi Vicino” nasce proprio da questo approccio: è il frutto di un vero e proprio laboratorio sonoro più che di una jam da sala prove. Ogni dettaglio, ogni suono, è stato cesellato per creare un tessuto denso e avvolgente.
Un ruolo fondamentale lo ha avuto Simone Laurino, che ha curato la produzione artistica del disco. Con il suo gusto e le sue idee ci ha aiutato a scoprire una nuova faccia del nostro mondo sonoro.
Grazie a lui abbiamo allargato i confini dell’universo aabu e trovato un nuovo equilibrio.
In che modo questa nuova veste sonora ha influenzato la scrittura dei testi?
La scrittura, nonostante tutto, è rimasta fedele alla nostra natura: le canzoni continuano a nascere da una chitarra acustica, da un riff o da un’idea semplice. La vera sfida è arrivata dopo, quando abbiamo portato quei testi dentro sonorità elettroniche.
Ci siamo resi conto che la differenza non stava tanto nelle parole in sé, quanto nel modo di interpretarle.
Abbiamo lavorato molto sulla voce, sul suo timbro e sulla sua modulazione, per far sì che le parole venissero amplificate e potenziate dall’elettronica. È stata una delle sfide più grandi, ma anche più stimolanti: scoprire come un testo può cambiare vita quando si appoggia a un suono nuovo.
Pensate che questo cambiamento possa aprirvi a un pubblico diverso rispetto al passato?
È difficile dirlo con certezza. Non abbiamo mai scritto musica pensando a chi potesse ascoltarla, ma piuttosto a quello che avevamo bisogno di dire.
Per noi, la musica è da sempre il modo per esorcizzare i nostri demoni, per dare un senso a ciò che ci portiamo dentro. È una necessità personale, prima di tutto.
Detto questo, la speranza è che queste canzoni possano parlare anche a chi magari non ci aveva mai incontrato prima. Vorremmo che diventassero un linguaggio universale, capace di smuovere emozioni e di far riflettere. E, naturalmente, ci piacerebbe che arrivassero a più persone possibile. Se questo cambiamento ci aprirà nuove strade, sarà un bellissimo regalo.