Con il nuovo singolo Ma’, Vizzini apre uno squarcio intimo e profondo nel suo percorso artistico. Una lettera in musica alla figura materna, che unisce radici, lingua e vulnerabilità in un racconto universale. La scrittura in siciliano, l’essenzialità degli arrangiamenti e la collaborazione con il pianista Francesco Le Metre rendono il brano uno dei momenti più nudi e intensi del suo prossimo disco.
Abbiamo parlato con l’artista del legame con le radici, del tempo che passa e delle emozioni difficili da comunicare.
Intervista
“Ma’” è una lettera intima alla figura materna: cosa ti ha spinto a trasformare un sentimento così personale in una canzone condivisibile da tutti?
È stata una delle prime canzoni che ho scritto per questo disco. Da quando sono andato via di casa, 15 anni fa, parlare con mia madre è diventato più difficile. Adesso che ho tante cose da dirle non trovo mai le parole giuste. In questa canzone le ho scritto quello che mi porto del nostro rapporto da quando ero bambino, ma guardato con gli occhi di oggi.
Dopo “Austu” torni a scrivere in siciliano: quanto conta per te il legame con la lingua e le radici nella tua ricerca artistica e autoriale?
Tantissimo. Prima di tutto io sento e penso in siciliano. L’italiano è sempre una traduzione. Per me il siciliano è barocco e schietto insieme. Ha dentro sintesi e teatralità, una contraddizione continua. In mezzo ci trovi lo spagnolo, il greco, l’arabo. È un linguaggio affettivo unico e intraducibile. Lo sento profondamente più simile alle lingue mediterranee che all’italiano.
Il brano è essenziale, sorretto dal pianoforte di Francesco Le Metre: come nasce questa collaborazione e quale valore aggiunto ha portato al pezzo?
Francesco l’ho conosciuto diversi anni fa e da lì ho sempre seguito e ammirato la sua musica. È l’unico featuring siciliano del disco e non è un caso sia per questo brano. Quando gliel’ho proposto ero quasi in imbarazzo, per l’intimità del testo. Non c’è stato bisogno di spiegare troppo, per fortuna: anche se vive da anni a Los Angeles, è nato a Catania, abbiamo un dialetto molto simile. È il brano più nudo del disco: solo la mia voce e il piano e i synth di Francesco.
In “Ma’” parli del tempo che passa e delle piccole fratture che lascia nei rapporti: cosa speri resti all’ascoltatore dopo aver vissuto questa canzone?
Spero che chi ascolta si senta capito. E che possa fare pace con l’incomunicabilità di certi sentimenti verso chi vogliamo bene. Siamo tutti imperfetti e ingarbugliati, ma mi sembra che cerchiamo un po’ tutti di sentirci amati, ognuno a modo suo.