Skip to main content

Nel suo nuovo singolo, Buonavita, il cantautore torinese FASE (Valerio Urti) abbandona la dimensione strettamente personale per rivolgersi, con uno sguardo collettivo, a una generazione che convive ogni giorno con aspettative altissime, fragilità taciute e il bisogno urgente di sentirsi ancora protagonisti della propria storia.

Con un sound ispirato alla carica emotiva dei The Killers e una scrittura viscerale che resta fedele alle sue radici cantautorali, Buonavita diventa un vero e proprio inno intimo travestito da brano estivo. Una canzone che parla a chi tiene in piedi il mondo con i cerotti addosso, tra ironia, malinconia e una voglia testarda di resistere.

Abbiamo intervistato FASE per farci raccontare la genesi di questo brano, il suo significato profondo e il modo in cui la musica può ancora oggi diventare uno spazio di riconoscimento collettivo.


Intervista a FASE

“Buonavita” sembra nascere da uno sguardo collettivo, un passo fuori da sé per parlare a una generazione intera. Cosa ti ha spinto, per la prima volta, a uscire dal tuo mondo interiore per cercare un “noi”?
Ho sentito il bisogno di condividere, non solo di raccontarmi. “Buonavita” nasce in un momento in cui sentivo che non ero l’unico a fare fatica, a reggere tutto. Ho voluto scrivere una canzone che parlasse per tutti quelli che tengono in piedi il mondo con i cerotti addosso, che sorridono mentre crollano. È il mio primo vero “noi”.

Nel brano dici: “solo di atterraggio nella vita di qualcun altro”. Una frase che colpisce e racchiude un disagio condiviso. Credi che oggi, tra social e solitudini, sia diventato più difficile sentirsi protagonisti della propria storia?
Assolutamente sì. Viviamo immersi nelle vite degli altri e rischiamo di dimenticarci la nostra. Quella frase è il senso di smarrimento che provi quando ti senti sempre in prestito, mai davvero al centro. Buonavita vuole essere un atterraggio morbido, un ritorno alla propria traiettoria. Un invito a riconoscersi di nuovo.

Hai citato i The Killers tra i riferimenti per l’arrangiamento: quanto è stato liberatorio alzare il volume delle emozioni e puntare su un sound più impattante, pur restando fedele alla tua scrittura intima?
È stato terapeutico. Volevo che le parole si facessero largo dentro un suono vivo, sporco, pulsante. I The Killers mi hanno insegnato che puoi ballare anche con le lacrime agli occhi, e Buonavita è questo: una carezza urlata, un inno intimo travestito da brano estivo. È il mio modo di gridare le fragilità con dignità.

Se “Buonavita” fosse un manifesto generazionale scritto a un semaforo, in pieno agosto, che frase ci sarebbe?
“Ci siamo presi la notte, ma continuiamo a costruire la Buonavita, un giorno alla volta.”
Una frase che per me sa di verità: nonostante tutto, siamo ancora qui.

Lascia un commento