Nella voce di Mila Trani si incrociano riti antichi e visioni contemporanee, l’urgenza emotiva della parola e l’apertura radicale al mondo. Il suo nuovo lavoro, Menta selvatica, è un album che non si limita a esplorare le potenzialità della voce come strumento espressivo, ma si trasforma in un vero percorso catartico: una liberazione attraverso il suono.
Dalla memoria ancestrale del tarantismo salentino alle vocalità ottomane, passando per le contaminazioni tra jazz, flamenco e fado, Mila disegna un universo musicale in cui convivono radici, identità e libertà. La incontriamo in occasione dell’uscita del disco e dei primi concerti di presentazione – al Bravo Caffè di Bologna e al Blue Note di Milano – per parlare di mito, ricerca e del senso profondo del fare musica oggi.
Intervista a Mila Trani
1. “Menta selvatica” è un album che intreccia mito, femminilità e linguaggi sonori di diversi mondi. Se dovessi raccontarlo attraverso un’immagine o un rito ancestrale, quale sceglieresti?
Il titolo Menta selvatica rimanda alla pratica del tarantismo, un rito coreutico e catartico presente nella zona del Salento già dal X secolo, durante il quale il malessere individuale veniva esorcizzato attraverso musica e danze frenetiche.
La menta ha un potere calmante ed era una delle piante offerte alla tarantolata, cioè a colei che era stata morsa dal ragno e che più in generale presentava un disagio psichico, che la musica era in grado di curare.
Scrivere questo disco per me è stato un processo catartico, per questo mi piace accostare simbolicamente il mio percorso a questa pratica che affonda le radici nelle mie origini.
Mi ha permesso di entrare in connessione con la parte più profonda di me, aprendo la strada a un dialogo interiore per spogliarmi di quelle sovrastrutture che non mi consentivano di esprimermi in modo autentico e libero.
2. Nei tuoi brani convivono fado, flamenco, jazz, folklore e ritmi caraibici: come riesci a trasformare questa complessità musicale in una voce che resta personale e riconoscibile?
Molti di questi generi fanno parte della mia formazione.
Credo di aver assimilato nel tempo diversi linguaggi che ho poi rielaborato secondo la mia sensibilità, dando vita a un’identità musicale collocabile nell’ambito della world music, un intreccio di ritmi e sonorità di musiche di tutto il mondo, senza confini.
3. Sei una ricercatrice instancabile della voce in tutte le sue forme, dai dialetti italiani alla vocalità ottomana: qual è l’insegnamento più inatteso che hai ricevuto da uno di questi mondi vocali?
Ciò che mi spinge nella ricerca è il desiderio di comprendere le potenzialità della mia voce, ma anche di dare un senso alle tracce che appartengono naturalmente al mio modo di cantare, legato alle mie radici.
Ho ascoltato molti brani dagli archivi di Alan Lomax, etnomusicologo che nel dopoguerra ha registrato canti di tradizione orale in quasi tutto il mondo.
Ho riscontrato molte similitudini nel canto rurale di paesi lontani tra loro, e mi ha affascinato riconoscere nella microtonalità una caratteristica comune a una vocalità nuda, istintiva e in alcuni casi poco istruita.
È una peculiarità che ritroviamo ancora oggi nel canto turco, greco, arabo e indiano.
In ognuna di queste culture la microtonalità è affrontata con modalità e tecniche molto diverse tra loro, cristallizzate nel tempo, mentre in area italiana sopravvive nei melismi dei canti tradizionali principalmente del Sud.
4. I due concerti di presentazione al Bravo Caffè e al Blue Note sembrano promettere un’esperienza immersiva. Che tipo di viaggio emotivo vuoi regalare al pubblico sul palco?
L’esperienza dal vivo è centrale per ogni artista. Per me rappresenta l’occasione per entrare in contatto reale con il pubblico e costruire un legame attraverso la musica e le parole.
Il concerto è un rituale condiviso nel quale sia chi suona che chi ascolta partecipa attivamente, mettendo in circolo un’energia che durante il live si rinnova grazie a una comunicazione che trascende la dimensione quotidiana.
Il mio disco esplora diverse sfumature dell’animo umano e lo spettacolo riflette questa varietà. È un percorso che attraversa emozioni e situazioni differenti in cui chi ascolta può riconoscersi.
Si parla di amore in molte forme, dal conflitto interiore alla perdita di sé nell’incontro con l’altra persona, fino alla presa di coscienza di certe dinamiche che ci appartengono e che possono diventare alleate nel percorso di crescita individuale.
C’è anche spazio per l’ironia. Se grazie alla mia musica riesco ad andare in profondità, nella vita sono una persona scherzosa a cui piace molto ridere e porto sul palco anche questo aspetto di me.
Ci tengo a condividere che posso permettermi di esprimermi al meglio anche grazie alla collaborazione di una band di grande livello professionale con cui condivido sia musica che valori.