Nella scena emergente italiana c’è un nome da tenere d’occhio: Il Nesso 139, giovane artista capace di fondere introspezione, storytelling notturno e una visione artistica sorprendentemente matura. Il suo album d’esordio, “Noi della notte (A.M.)”, è un concept che esplora le ore più silenziose e cariche di significato della giornata, trasformandole in tracce dense di atmosfera e parole scelte con cura. In questa intervista per il MEI, ci racconta la genesi del disco, il valore del tempo, e come l’arte visiva abbia influenzato profondamente il suo modo di fare musica.
INTERVISTA
1. Il titolo del tuo album d’esordio è “Noi della notte (A.M.)”, con ogni brano legato a un orario specifico. Che rapporto hai con il tempo e come si riflette nella scrittura delle tue canzoni?
Trovo che il tempo sia un’ottima risorsa per poter metabolizzare le proprie emozioni. Nella notte soprattutto vedo la possibilità di fermarsi per prendere fiato da una società costantemente di corsa.
Il tempo a tratti nella mia scrittura è fondamentale, tornando dopo giorni su un incipit di un brano, e a volte è rilevante solamente nella fase iniziale, continuando poi con un flusso di coscienza estemporaneo.
In entrambi i casi però, nel momento in cui arrivo alla scrittura, vuol dire che il tempo ha fatto il suo corso per quanto riguarda l’introspezione, ritenendomi pronto a trattare un determinato argomento solo dopo averlo interiorizzato.
2. Il disco nasce dopo tre anni di gestazione. Cosa ti ha spinto a tenere viva questa visione nel tempo e quale momento ne ha segnato la svolta creativa?
La svolta creativa è arrivata nel momento in cui mi sono reso conto che tutte le canzoni che stavo scrivendo in quel periodo seguissero uno stesso filo conduttore, elemento fondamentale dal mio punto di vista per la realizzazione di un album.
L’idea del progetto è stata quindi chiara fin dall’inizio. Sapevo già che sound dare all’album, avendo inoltre avuto la fortuna di realizzarlo insieme a Riccardo Schievello e Matteo Portelli, con i quali abbiamo curato ogni minimo dettaglio musicale, non seguendo sicuramente le regole e i canoni di un’industria che corre costantemente.
Il tempo trascorso quindi è stato semplicemente il tempo necessario affinché ogni elemento fosse al posto giusto.
La soddisfazione di poter finalmente pubblicare questo scorcio della mia produzione è quindi enorme, sono soddisfatto del percorso e al contempo impaziente di dedicarmi alla realizzazione di nuova musica.
3. L’immaginario dei nottambuli di Hopper è centrale nel concept dell’album. In che modo la pittura, l’arte o il cinema influenzano la tua musica?
Penso che l’influenza maggiore alla mia musica sia data dalle esperienze della mia vita; e che l’arte, in ogni sua forma, possa fornire punti di vista e interpretazioni differenti di un avvenimento o un sentimento nel quale ci rispecchiamo.
Cerco quindi di comprendere e catturare i diversi spunti che l’arte può offrire, interpretandoli e formando così la mia visione d’insieme.
In Hopper ho trovato la capacità di descrivere un intero immaginario, al quale sono molto legato, con una sola immagine, e mi sono domandato: “come posso fare lo stesso in musica?”
In conclusione, ritengo che l’esperienza fornisca il contenuto e che l’influenza dell’arte sia fondamentale per la creazione di una propria forma.
4. Sei giovanissimo, ma il progetto mostra già una notevole maturità artistica. Come concili la tua età con un linguaggio così introspettivo e notturno?
Ritengo che la scelta delle parole sia fondamentale, soprattutto in una lingua bellissima come l’italiano, dove parole apparentemente simili nascondono sfumature diverse.
Quando scrivo un testo, soprattutto se introspettivo, mi soffermo spesso sulla scelta delle parole che possano descrivere nella maniera più fedele possibile il mio pensiero e la mia visione.
Sono sempre stato affascinato dal testo delle canzoni, essendo cresciuto con artisti come Gemitaiz o Nayt. Cerco sempre il perfetto incontro tra testo e musica, e in brani come “Paesaggio (00:00)”, “Solo un ricordo (04:00)” o “Trampolini (07:00)” penso di averlo raggiunto.