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C’è chi la musica la rincorre, e chi la vive come un’urgenza. Meri Lu Jacket ha attraversato palchi internazionali, l’energia del busking, la scrittura in studio, i contest, le partenze e i ritorni. Oggi debutta con un album che è una dichiarazione d’intenti: “All In”, un titolo che non si nasconde, e che suona come una presa di posizione netta, ma anche intima.

Tra soul, pop-rock e cantautorato moderno, la sua voce è un ponte tra il vissuto e il possibile. In questa intervista, ci ha raccontato cosa significa per lei buttarsi senza rete, il valore della collaborazione con una leggenda del rock britannico, e quanto sia importante restare liberi anche dentro una melodia.


💬 L’intervista

“All In” è un titolo forte: cosa significa per te oggi, dopo aver attraversato palchi, busking, studio e contest?
“All In” perché nella vita facciamo scelte che ci portano a rischiare tutto. Può essere in amore, nelle relazioni, nel lavoro… Ma non possiamo restare fermi, né smettere di provare. Io ho scelto di andare “All In”, a prescindere da come andrà. Perché l’unica cosa che possiamo davvero vivere e controllare è l’adesso.


In “She” hai collaborato con Tony Moore, una figura iconica del rock britannico. Com’è nata questa connessione e cosa ti ha lasciato?
Ho conosciuto Tony a Londra, dove presentava una serata dedicata ai cantautori. Abbiamo iniziato a parlare e si è creata un’amicizia sincera. Dopo vari incontri casuali, un giorno, con quattro note al piano e una chiacchierata sulla vita, è nata She.
È un brano molto personale, dedicato a chi sceglie di stare con qualcuno solo per non affrontare sé stesso. Perché il primo amore nasce dentro di noi.
She è stata una rivoluzione anche per me: è lì che ho capito davvero questa verità.


Dal soul al pop-rock, il tuo disco mescola tante sfumature: quanto è importante per te restare libera nelle sonorità?
Per me è fondamentale. La musica è libertà, è una continua trasformazione. Non ha confini precisi. Mi piace seguirne il flusso, lasciarmi guidare dalle melodie e da ciò che sento nel momento.


Hai studiato songwriting a Bristol: che impatto ha avuto quel percorso nella scrittura e identità di questo tuo primo disco?
Bristol è una città viva, piena di arte, suoni e culture diverse. Vivere lì è stato importante: mi ha aperto la mente.
Il corso di songwriting mi ha insegnato che la musica è personale, ma va anche condivisa, come un libro aperto. E che le canzoni, per essere vere, devono parlare a chi ascolta, non solo a chi scrive. Così ho iniziato a cercare un linguaggio che fosse mio, ma anche universale.

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