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Una chiacchierata tra fede, periferia e resilienza con un giovane artista che ha trasformato dolore e rabbia in motivazione

C’è chi scrive canzoni per passione, e chi scrive per necessità. Per sopravvivere, per reagire, per trasformare una ferita in un inno di riscatto. In questa intervista, un giovane artista racconta il suo percorso tra spiritualità, esperienze di strada e una determinazione forgiata tra le crepe della vita. Lo fa con parole dirette, autentiche, che oscillano tra il sacro e il crudo quotidiano, tra il bisogno di redenzione e la voglia di rappresentare chi non ha voce.

Una testimonianza che va oltre la musica, toccando corde profonde: quelle dell’identità, della lotta interiore e del senso di responsabilità verso chi cresce oggi in contesti difficili.


1. Cosa rappresenta per te la figura di Gesù Cristo in rapporto al tuo modo di affrontare la vita e la musica?

Semplicemente pensando all’immagine di Gesù Cristo: se ci pensiamo bene, è stato un profeta che predicava in una società fatta di ladri, bugiardi e prostitute, è andato contro il “sistema”, se pur parlando in termini religiosi. Inoltre, è nell’indole dell’essere umano credente affidarsi a lui mentre si è “nel buio”, in modo che combatta il male e la brutalità.


2. Il concetto di “avere venti vite” è molto potente. Da dove nasce questa idea e quanto rispecchia il tuo vissuto?

Non è la generazione che vivo che ha venti vite, ma io stesso: sono stato in così tanti contesti e ho affrontato così tante cose che posso tranquillamente paragonare il fatto che sia ancora qui alle vite dei gatti (che non muoiono mai ideologicamente). Ho iniziato a scrivere e comporre beat a 14 anni, per puro divertimento, mi piaceva anche perché ascoltavo questa musica e avrei voluto provarci anche io, ma è stato un pestaggio subìto a 15 anni da un uomo ubriaco che mi ha fatto scattare la scintilla: volevo redenzione, vendetta, sentivo il bisogno di sfogarmi; d’altronde, sono stato lasciato a terra quasi inerme perché la gente non sa divertirsi quando beve; da quel momento ho deciso di farlo seriamente e ho promesso a me stesso di dedicarci tutto me stesso.


3. La tua scrittura ha un tono spesso ironico, ma porta messaggi importanti. A chi ti rivolgi davvero quando scrivi?

Anche se parlo in modo ironico ma sottile, voglio che il ragazzino della mia città (e non solo), che vive nella periferia, che ha vissuto un po’ quello che ho vissuto io (dal divorzio dei miei vita di strada), si immedesimi nei miei concetti e ne tragga determinazione e motivazione per “sopravvivere”. Da me è un po’ più facile essere determinati, anche perché, l’avere determinazione diventa quasi un bisogno, una necessità, quindi ci si adatta. Io parlo anche per questa gente, appunto.

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