Dopo la pubblicazione “Dopamina”, il progetto di Filippo Poderini prosegue con i singoli “Perché Rimani” e “Sete”.
“Perché Rimani” è fuori dall’11 aprile su tutti i digital store e vede la collaborazione di un’istituzione dell’indie italiano, ovvero Giorgio Canali.
“Perché rimani?” è una domanda che suona quasi esistenziale. Quando è stata l’ultima volta che te la sei fatta davvero, fuori da una canzone?
Ma guarda, onesto proprio, me la sono fatta stamattina,
perché al cuore non si comanda, va bene,
ma neanche può fare sempre come gli pare.
In “Sete” parli di co-dipendenza emotiva. Quella sete, quel bisogno di “bere” l’altro… secondo te si può mai dissetare davvero, o è una condanna a tempo indeterminato?
È una condanna a tempo indeterminato se non trovi una fonte dentro di te.
Per quanto riguarda me, che non sono certo “dissetato”,
ti posso dire che so dove è ma arrivarci è un’odissea tutte le volte.
I tuoi testi hanno immagini molto forti e spesso disturbanti. È una forma di catarsi o un modo per restare a contatto con certe emozioni che altrimenti sarebbero ingestibili?
Entrambe le cose che hai detto, anzi grazie dell’empatia, hai colto perfettamente.
Ti posso dire che in più c’è un seme di ironia, qua e là che appare,
un “Già” buttato alla fine dei ritornelli,
un mumble che assomiglia più a parlare con la bocca piena di noccioline,
una divertita rassegnazione;
rassegnazione perché alcune cose non si possono cambiare davvero,
divertita perché tutte le altre sì, e farlo può essere un bel gioco.
Giorgio Canali nel tuo brano sembra un fantasma che ti sussurra cose che fanno male. Come hai deciso dove finiva la tua voce e dove cominciava la sua?
Inizia dopo che io ho già detto tutta la mia versione del fatto, del rimanere,
ossia dopo prima strofa e ritornello, che corrispondono a ipotesi e tesi.
Dopodiché a me bastava ripetere la mia tesi:
“non sarebbe stato meglio se non avessi conosciuto chi sono”
e alla fine i miei fantasmi non sono tanto più gentili di lui,
se non altro non lo sento così spesso, anche per cambiare insomma…
“Sete” è quasi opposto a “Perché Rimani”: uno sembra cercare l’altro disperatamente, l’altro vuole lasciarlo andare. Sei più spesso quello che resta o quello che se ne va?
Così fanno, esatto, ma di fatto in “Sete” si balla sulle macerie.
Se ne sono andati tutti ormai.
Finché posso non me ne vado, però riesco ad allontanarmi davvero molto
e in una frazione di secondo,
non lo dico come un vanto o un monito, è un’iper reazione.
Da jazzista a produttore, da produttore a artista solista: dove ti senti più libero?
Da produttore, assolutamente.