Skip to main content
1. Ciao ragazzi, benvenuti. Ci raccontate come nasce il vostro primo disco “My Heart Is A Stoner”?
Benz: La prima volta che ho sentito qualcosa dei Mahout è stato ormai parecchi anni fa, quando un amico, che nella mia vita ha sempre avuto il ruolo di farmi conoscere un sacco di musica “nascosta”, mi ha passato il demo che stava iniziando a girare a Pinerolo.
Io ai tempi conoscevo già Emi, la voce della band, e suonavamo insieme in una band tributo a Bob Marley con cui ancora suoniamo a volte.
Ad un certo punto, dopo qualche anno, Emi mi ha chiesto di produrre il disco e da lì è iniziata la nostra collaborazione artistica. Ho cominciato a suonare con la band ed Emi ed io continuiamo a scrivere insieme.
Come spesso succede con gli album di debutto, in “My Heart Is A Stoner” sono confluiti i brani scritti nel corso di un po’ di anni. Quelli del demo e altri scritti in vista dell’album.
Il disco è stato prodotto, registrato e ultimato a ridosso della pandemia, poi, una serie di vicissitudini ha fatto sì che vedesse la luce soltanto a novembre 2023.
Si può dire che sia un disco carico di amore ma anche di tormenti. La formazione attuale ad esempio è una formazione nuova. L’uscita dell’album ha quindi segnato il cambio di era per la band.
2. Il disco ha visto una produzione lunga, durata più del solito rispetto a quanto si vede in giro in questi giorni: che tipo di gestazione è stata? Quanto è cambiata l’idea del disco in questi anni?
Benz: Ci siamo concessi la possibilità di fare un lavoro con tempistiche ed una concezione “pre- piattaforme”, dando quindi importanza al disco nella sua interezza.
Infatti, rispetto alle tematiche, potrebbe quasi essere considerato un concept album.
II focus principale del lavoro di produzione è stato quello di avvicinare stilisticamente brani scritti in periodi diversi del processo artistico, creando il sound che arrivasse con l’impatto che noi vogliamo.
L’idea di “disco” in questi anni è cambiata radicalmente, è chiaro che l’idea del disco in quanto opera completa e compiuta che esprime la ricerca artistica di una band in un certo momento non rientra nello zeitgeist attuale. Poco ma sicuro.
Anche perché nell’ottica delle dinamiche promozionali del distribuire musica sulle piattaforme e la velocità con cui si esauriscono le uscite discografiche, l’album è un formato poco conveniente. Si ragiona più a singoli, come sappiamo. Il rischio banalmente è che si tenda a smembrare il lavoro artistico, che si tolga la possibilità agli artisti di creare opere coerenti ed organiche, tendendo a inseguire le hits come in un costante best of…
3. “My Heart is a Stoner” è un’attitudine, un modo di vivere? Cosa rappresenta per voi questa frase e quando avete pensato di farla diventare il titolo del vostro album?
Emi: Ho sempre avuto in testa che il primo album sarebbe stato omonimo e che si sarebbe intitolato Mahout. Poi, a un certo punto, abbiamo sentito l’esigenza di dargli un titolo e abbiamo estrapolato un verso di “On a mountain”, un brano del nostro disco.
Il titolo ha un doppio significato. Da un lato pensiamo che in fondo sia principalmente il cuore delle persone a muovere le loro decisioni, consapevolmente o meno. La ricerca (a volte spasmodica e disordinata) di emozioni forti, la ricerca, per alcune persone infinita, di essere riconosciute e amate. In questo senso il cuore è un “tossico” di emozioni, di cui raramente può fare a meno. Dall’altro lato, per forza di cose, osserviamo come molti intorno a noi e fra di noi ricorrano all’uso di sostanze per motivi che possono variare dal semplice scopo ricreativo e di evasione ludica al tentativo di lenire e medicare sofferenze intime di varia natura, anestetizzandosi l’anima. Pensiamo che alla base ci sia sempre la ricerca, conscia o meno, di un surrogato di riconoscimento e amore, qualsiasi ne sia la forma.
4. In questi anni avete già portato la vostra musica in tutta Europa e su e giù per l’Italia: che tipo di reazione vedete dai diversi pubblici? Ci sono differenze?
Benz: Il concerto è per noi un momento fondamentale e cruciale del processo artistico, non solo, è nella nostra ottica un momento sociale importante di scambio di energia tra e con le persone, di vicinanza.
Il pubblico all’estero è diverso, sicuramente, c’è in generale una grande educazione e propensione all’ascolto. Un po’ come il ricordo che ho del pubblico negli anni ’90 in Italia, anni in cui la nostra generazione ha iniziato a viversi la musica anche ai concerti.
Trovo comunque che questa differenza si stia appianando negli ultimissimi anni.
Va detto comunque che la nicchia musicale a cui ci rivolgiamo è calda, ovunque, sia in Italia sia fuori.
5. Questo 2024 ha visto invece la pubblicazione di un nuovo brano, Pam Pam, che vede la collaborazione di Soom T. Come nasce il featuring?
Emi: Volevamo un featuring internazionale su Pam Pam e abbiamo pensato a Soom T che è un’artista che stimiamo molto. Abbiamo pensato potesse inserirsi perfettamente nel sound del brano e che la sua voce potesse funzionare bene con la mia. Così è stato.
Il tramite è stato Gaudi che ha poi registrato le voci di Soom T nel suo studio a Londra.
6. Questo singolo aprirà le porte della stagione dei live, vi vedremo su qualche palco presto?
Benz: Sì e non vediamo l’ora.
Il fatto di far ballare il pubblico è un’esperienza sempre molto forte, quasi una vocazione direi.
Stiamo lavorando alle date e a breve le comunicheremo sulla nostra pagina Instagram.