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AudioCoop con la delegazione formata da Luca Fornari, Fabrizio Galassi ed Enrico Capuano ha incontrato la delegazione cultura del Pd presente con  Marta Bonafoni, Matteo Orfini e Francesco.Verducci

L’incontro si è svolto nella sede del PD per discutere dell’importanza di preservare e promuovere il lavoro delle piccole e medie imprese, la diversità culturale e il patrimonio musicale italiano.
E per contrastare il capitalismo musicale che si sta muovendo come un Robin Hood all’incontrario: ruba ai poveri per dare ai ricchi.

Codice spettacoli dal vivo
Importanza del codice spettacolo e, come decreto attuativo, inserire nel decreto tutta la musica, senza differenziazioni di genere, dando piena dignità al folk, al rock, urban o pop.

Produzioni indipendenti protagoniste della diversità e pluralità culturale
Il monopolio Major/Sanremo ha dimostrato come la musica può uniformarsi in un’unica voce nel momento in cui viene gestita dall’industria discografica delle major.
Voce mirata esclusivamente al commercio, andando in contro al consenso.
Le produzioni indipendenti sono la vera risorsa per mantenere una pluralità culturale, dare una voce e un messaggio fuori dal mainstream, un’opportunità musicale che non mira al mercato, ma all’esposizione di ‘altre’ idee, proprio per dare la possibilità al pubblico di formarsi un proprio pensiero.
Audiocoop propone di dare questa possibilità all’interno della RAI attraverso spazi dedicati alle produzioni delle piccole e medie imprese (etichette discografiche).
Stessa proposta nei confronti delle piattaforme streaming affinché diano questa visibilità attraverso una pianificazione concreta per la diversità musicale, artisti locali ed etichette indipendenti.

Spotify e Believe Digital: capitalismo musicale contro le piccole imprese e la musica emergente
Molto importante anche le tematiche relative a Spotify e alla sua decisione di non riconoscere roytalies (in valore economico) agli artisti ed etichette che non raggiungono i mille ascolti (1.000 plays). In questo caso Spotify risparmierebbe tra i 40 e i 60 milioni l’anno, soldi che saranno ridistribuiti tra gli artisti delle major; azione totalmente ingiusta e contro ogni logica del supporto culturale. Anche in questo caso stiamo andando in contro a un unico messaggio e a una completa assenza della pluralità.

Il caso Believe Digital, invece, dimostra come ci sia un disequilibrio di provvedimenti, sempre nei confronti delle piccole e medie imprese.
In questo momento, il distributore digitale francese (tra i più importanti a livello mondiale) sta cancellando intere discografie di alcune label italiane perché ritenute ‘colpevoli’ di aver acquistato ascolti fraudolenti, ossia plays false, solo per far crescere il numero e la popolarità dei brani.
Invece di colpire le aziende che vendono in modo ingannevole questo tipo di servizi, si vanno a penalizzare in modo eccessivo piccole realtà, cancellando la loro memoria storico-musicale.
Chiediamo un incontro immediato con Believe per discutere di eventuali soluzioni.

A cura di
Fabrizio Galassi